Una Mercedes nera cambia la dinamica dell’incidente di Casal Palocco? Saranno le telecamere a dire l’ultima parola sullo scontro tra il Suv Lamborghini Urus e la Smart ForFour che è costato la vita a Manuel Proietti. Ma intanto gli avvocati di Matteo Di Pietro rispondono: negano che l’indagato youtuber dei TheBorderline stesse superando un’altra auto all’incrocio tra via di Macchia Saponara e via Archelao di Mileto. I legali sostengono invece che la mamma del bimbo ha tagliato la strada alla Lamborghini. Senza dare la precedenza. E questo perché l’auto ha riportato danni sulla fiancata destra. Intanto, mentre loro danno l’addio a Youtube, c’è chi lancia la proposta di vietare la monetizzazione di questo tipo di contenuti: «Così siamo un pericolo».
Le telecamere
A riportare la versione degli avvocati di Matteo Di Pietro sull’incidente è oggi La Stampa. Il quotidiano spiega che il sistema di videosorveglianza prevede quattro punti di ripresa per ricostruire il passaggio dei due veicoli. Si trovano a meno di 200 metri di distanza dal luogo dell’incidente. Intanto la procura di Roma, che procede per omicidio stradale e lesioni, attende le perizie sui video dei cellulari degli youtuber. Compresi quelli che erano a bordo del Suv. Secondo i testimoni l’auto su cui erano i ragazzi viaggiava a velocità molto sostenuta. C’è chi parla di 200 chilometri all’ora. I pm hanno chiesto una consulenza tecnica per accertarla. Ieri ha parlato anche Giulia Giannandrea, la fidanzata di Matteo Di Pietro. Era stata citata come presente a bordo dell’auto al momento dell’impatto. Si è ritrovata sommersa di insulti e minacce. «Non ero a bordo e non sono una youtuber», ha scritto sui social annunciando la chiusura dei suoi profili.
L’indagine
Resta poi la positività dello youtuber ai cannabinoidi. Rilevata in pronto soccorso dopo le analisi del sangue a seguito dell’incidente. Ma anche in questo caso bisognerà stabilire se e quando Di Pietro avesse assunto droghe. Non si esclude che il giovane, per il quale finora non è stata ritenuta necessaria alcuna misura cautelare, possa essere ascoltato dagli inquirenti a piazzale Clodio nei prossimi giorni. La sua casa è stata intanto perquisita, alla ricerca di video, cellulari o eventualmente droga, visti i risultati delle analisi. Perquisita anche la sede della srl che raccoglie i guadagni delle challenge: ha un fatturato di 190 mila euro. Mentre alcuni video sul canale sono stati oscurati. O dai loro account o dal sito. Secondo alcuni followers poi i filmati erano montati ad arte e le sfide erano finte.
Lo youtuber e la monetizzazione dei contenuti
Intanto lo youtuber Nikolais, nome per la rete di Niko Gargiulo, 27 anni, vlogger da 145mila follower, dice proprio a La Stampa che il problema è la monetizzazione dei contenuti. In un’intervista rilasciata a Flavia Amabile spiega: «Io faccio questo lavoro seriamente da 4 anni e in modo amatoriale da 10 anni. Ho iniziato che ero un ragazzino, ho assistito al passaggio dalla fase in cui si facevano video per passione a quella in cui sono diventati una fonte di guadagno. C’è stato un cambio totale dei contenuti e l’arrivo di tante persone alla ricerca di un modo facile di facile per fare visualizzazioni e quindi guadagni. Non esiste solo quel modo, però, ci tengo a puntualizzarlo. Si può essere uno youtuber in modo professionale, vivere di questa attività e avere dei contenuti positivi».
L’influencer
Per l’influencer «c’è in molti casi una sconnessione tra realtà e video come hanno dimostrato anche gli youtuber coinvolti nel video della Lamborghini. Quando si è in rete si ha un potere enorme ma bisogna sapere che si deve avere anche una grande responsabilità. È una questione di maturità». E questo perché anche se YouTube prevede diversi filtri per segnalare qualcosa di pericoloso, spesso il titolo riesce ad aggirare i controlli. «Un titolo come “50 ore in un’auto”, per esempio, non crea allarme. Il punto è che i contenuti non vengono visti da un essere umano ma da un algoritmo ed è inevitabile che sia così. Bisognerebbe assumere palazzi di persone per controllare tutti i video che vengono caricati. I controlli però vanno comunque potenziati, semmai servendosi dell’intelligenza artificiale per individuare quelli con contenuti pericolosi».
La soluzione
Mentre la soluzione più semplice è quella di eliminare «la possibilità di monetizzare i contenuti. In questo modo si disincentiva la produzione di questi video. Sarebbe necessario anche un maggiore controllo da parte degli sponsor sui contenuti. Spesso il reparto marketing delle aziende si fida dei consigli che arrivano dai figli su persone che vanno sostenute con merci o con codici sconto o collaborazioni a vario titolo. Ci vorrebbero verifiche più approfondite». Le immagini di quell’ennesima gara da superare potrebbero averle viste migliaia di adolescenti. Dallo studio del Centro nazionale per le dipendenze e il doping dell’Istituto superiore di sanità emerge che il 6,1% degli studenti tra 11 e 17 anni, circa 243.000 ragazzi, ha partecipato almeno una volta a una sfida social pericolosa.
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