È di 5 morti e oltre 60 feriti tra i palestinesi e di 7 soldati israeliani feriti il bilancio – ancora provvisorio – degli scontri che infiammano dalle prime ore di questa mattina la città di Jenin, in Cisgiordania. Se l’esito degli scontri non è purtroppo una novità in quell’area, dove l’esercito israeliano conduce regolarmente operazioni per catturare quelli che ritiene essere terroristi da assicurare alla giustizia, ad essere del tutto inedita – da anni a questa parte – è la dinamica di quanto avvenuto. Per la prima volta da oltre 20 anni, infatti, l’esercito israeliano ha colpito obiettivi militari a Jenin con bombe sganciate dal cielo, avvalendosi di un elicottero. Un’opzione d’attacco che non veniva utilizzata dai tempi della Seconda Intifada, nel 2002, e cui l’esercito di Gerusalemme ha fatto ricorso per coprire l’evacuazione di alcuni suoi soldati rimasti feriti e potenzialmente «intrappolati» nella città palestinese.
Il blitz, l’imboscata e gli scontri
Il parapiglia, secondo quanto ricostruiscono i media locali, è iniziato nelle prime ore di questa mattina, dopo che le forze israeliane erano entrate a Jenin per arrestare due ricercati. A operazione apparentemente terminata, al momento di uscire dalla città, i mezzi dell’esercito e della polizia di frontiera israeliana sono stati attaccati dalle milizie locali. In alcuni video diffusi dai media palestinesi, si sente la selva di colpi lanciati contro i mezzi in transito, sino alla detonazione di un esplosivo – forse una granata – tale da avvolgere i veicoli in una nube di fumo e bloccarne l’incedere. Sette tra soldati e agenti israeliani, pur rispondendo al fuoco per evitare un assalto diretto ai veicoli, sono rimasti feriti. A quel punto, i comandi dell’esercito hanno preso la decisione di far alzare in volo un elicottero Apache, che raggiunta la zona ha lanciato missili su un obiettivo a poca distanza dai veicoli dove si ritiene fossero i miliziani armati, così da consentire l’evacuazione in sicurezza dei soldati rimasti feriti. Operazione riuscita, ha fatto sapere Tzahal, essendo tutti e sette gli uomini stati trasferiti in ospedali israeliani. L’operazione è poi proseguita per consentire anche la rimozione dei veicoli militari rimasti danneggiati. Le condizioni di uno di questi si sono aggravate nelle ore seguenti, ha detto la radio militare israeliana.
L’ira dell’Anp
Negli scontri durati ore, secondo quanto riporta l’agenzia di stampa Wafa, sono però morti almeno 5 palestinesi. Oltre 60 quelli rimasti feriti, 18 dei quali versano in gravi condizioni: tra questi anche un cameraman palestinese, colpito al ventre da un proiettile mentre riprendeva gli incidenti dal tetto di una casa. Un bilancio pesantissimo, dunque, che ha mandato su tutte le furie l’Autorità nazionale palestinese. Il portavoce del presidente dell’Anp Abu Mazen ha definito l’operazione israeliana di oggi «un massacro» e «un tentativo di far esplodere la regione e trascinarla in un vortice di violenza». Abu Mazen, per bocca del suo portavoce, si è appellato alla comunità internazionale e in particolare agli Usa perché intervengano per «porre fine alla follia di Israele».
Via libera agli insediamenti e scontro con la Corte Suprema: la preoccupazione di Ue e Usa
Ad intervenire con un duro comunicato era stata in effetti la Casa Bianca proprio ieri, alla vigilia dell’operazione a Jenin, per dirsi «profondamente turbata» da un altro sviluppo, che punta però nella medesima direzione: quella del rischio di una nuova escalation di violenza tra israeliani e palestinesi. Domenica mattina infatti il governo di Benjamin Netanyahu ha reso noto di essere pronto ad approvare nei prossimi giorni la costruzione di oltre 4.500 nuove unità abitative in Cisgiordania: un numero esorbitante, anche considerato – come ricorda il Guardian – che sul tavolo pronte per l’approvazione finale ci sarebbero “solo” 1.332 richieste di costruzione. Poche ore dopo, a complicare ulteriormente il quadro, il governo ha approvato una risoluzione che demanda quasi del tutto il controllo sull’approvazione dei piani edilizi al ministro di ultra-cdestra Bezalel Smotrich, che vive egli stessi nei territori occupati, e che promette di facilitare ed accelerare drasticamente gli iter di valutazione delle richieste di costruzione di nuovi insediamenti, oltre che di sanatoria ex post per quelli edificati illegalmente. «Gli Stati Uniti sono contrari a tali azioni unilaterali che rendono più difficile il raggiungimento di una soluzione a due Stati e rappresentano un ostacolo per la pace», ha tuonato ieri il Dipartimento di Stato. Ma la destra nazionalista israeliana ha già dimostrato di non sentirci neppure dall’orecchio della diplomazia del grande storico alleato. E proprio oggi, a tornare a farsi sentire è stato l’altro esponente di punta dell’ultradestra nel governo, il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, che ha messo in chiaro come la contrastatissima riforma della giustizia, contro cui negli scorsi mesi si sono mobilitati centinaia di migliaia di israeliani, deve ora riprendere il suo cammino, nell’intento originario di stabilire il controllo politico sulla Corte Suprema.
A dirsi «fortemente preoccupata» per quanto accaduto oggi a Jenin, intanto è L’Unione europea. «Le operazioni militari devono essere proporzionate e in linea con il diritto umanitario internazionale», ha richiamato il Servizio di azione esterna della Commissione Europea. E quanto alle decisioni di ieri del governo di Gerusalemme, «In linea con la sua forte opposizione di lunga data alla politica degli insediamenti d’Israele, l’Ue è preoccupata per i piani annunciati di procedere con oltre 4.000 unità di insediamento nella Cisgiordania occupata alla fine di giugno: l’Ue invita Israele a non procedere».
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