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Ucraina nell’Ue e nella Nato? Tra il dire e il fare sta di mezzo il mare. E a frenare ora a sorpresa sono gli Usa di Joe Biden

22 Giugno 2023 - 18:02 Simone Disegni
L'aggiornamento della Commissione sulla candidatura di Kiev s'è rivelato deludente: progressi soddisfacenti solo in due aree su sette. E la Casa Bianca non vuole prendere impegni irrealistici

«L’Ucraina ci ha stupiti con il suo coraggio. Ci ha ispirati col suo ingegno. Ci ha sbalorditi con il modo in cui sta trasformando il Paese per realizzare il suo sogno. Ed è nostra responsabilità fare in modo che ciò accada (…) per il Paese che stanno immaginando. Un Paese padrone del proprio futuro. Un Paese membro dell’Unione europea». Sono le vibranti parole pronunciate ieri a Londra da Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione europea in prima linea – sin dall’inizio dell’invasione russa – nel sostenere il Paese di Volodymyr Zelensky. Un appassionato discorso pronunciato in apertura della Conferenza internazionale sulla ricostruzione dell’Ucraina in corso a Londra. Il futuro di quel Paese aggredito è nell’Unione europea e nella Nato – ripetono da mesi i leader del mondo occidentale per dare ai cittadini, tanto gli ucraini quanto quelli dei loro stessi Paesi, una direzione e una prospettiva nel mezzo del pantano di una guerra di cui non si vede la fine. Nessun dubbio che a sedici mesi dall’inizio dell’operazione militare lanciata da Vladimir Putin l’Occidente stia dimostrando una coesione e una determinazione tutt’altro che scontate nel sostegno a 360 gradi all’Ucraina – grazie anche alla prova fuori dal comune di resistenza data da quel Paese. Ma quanto alla traduzione politica concreta di quegli impegni sbandierati – l’adesione di Kiev all’Ue e alla Nato – la realtà è ben più complessa di quanto gli slogan lascino intendere. Come proprio in questi giorni sta emergendo con maggior chiarezza.

Pagelle di fine anno

La prospettiva di un’adesione dell’Ucraina all’Unione europea – poco più che un miraggio prima del 24 febbraio 2022 – ha subìto un’accelerazione senza precedenti dal giorno in cui Putin lanciò la sua scommessa militare criminale. Bastarono cinque giorni al governo di Kiev per capire l’urgenza di dare alla Russia un primo inequivocabile segnale di resilienza politica: il 28 febbraio planava sui tavoli di Bruxelles la richiesta ufficiale dell’Ucraina di diventare membro dell’Ue. Una settimana dopo arrivava il primo segnale di risposta dei governi Ue, con la richiesta alla Commissione di predisporre con la massima celerità una relazione sulla fattibilità del processo. Opinione depositata dall’esecutivo Ue un anno fa esatto. «L’Ucraina è uno Stato europeo che ha dato ampia prova di aderire ai valori su cui l’Unione europea è fondata. La Commissione raccomanda pertanto al Consiglio che all’Ucraina sia data la prospettiva di diventare un membro dell’Ue», scrivevano gli uffici preposti della Commissione nel rapporto: proposta formalmente recepita dai capi di Stato e di governo Ue pochi giorni dopo, il 23 giugno 2022. Il documento della Commissione tracciava però un percorso chiaro di azioni da intraprendere da parte delle autorità di Kiev per assicurare quella convergenza istituzionale e normativa considerata indispensabile per garantire l’efficace «assorbimento» di qualsiasi nuovo Stato. Dai criteri di nomina dei giudici della Corte costituzionale alla lotte alla corruzione, dalle norme mancati contro il riciclaggio di denaro alle azioni da intraprendere per limitare l’influenza degli oligarchi, da una legge all’avanguardia sui media alla protezione delle minoranze nazionali, una lunga e dettagliata to-do-list per i dirigenti di Kiev. 

Ebbene ieri, proprio nelle ore in cui von der Leyen declamava il futuro «europeo» dell’Ucraina, il suo Commissario all’Allargamento, Olivér Várhelyi, presentava ai rappresentati dei governi Ue un primo aggiornamento «orale» sullo stato di avanzamento dell’Ucraina rispetto alle sette aree di lavoro segnalate dall’Unione, in attesa della nuova relazione formale attesa in autunno. Risultato, come riportato dalla stampa specializzata: sono considerate al momento soddisfatte le richieste della Commissione in due dei sette ambiti d’intervento «attenzionati». Quelli, a quanto sembra, della riforma del sistema giudiziario e della normativa sui media. Sulle altre partite cruciali per soddisfare gli agognati «criteri di Copenaghen» insomma – dalla lotta alla corruzione alla protezione delle minoranze – il tragitto appare ancora lungo. Senza contare, ovviamente, gli scogli politici.

Per far progredire il processo di adesione dell’Ucraina all’Ue, fino alla sua eventuale adesione, è necessario il consenso unanime dei 27 Paesi membri, oltre che quello del Parlamento europeo. E per molti portare sulla corsia preferenziale la candidatura dell’Ucraina quando altri Paesi – in particolare quelli dei Balcani – siedono in sala d’attesa da anni potrebbe non essere la più lungimirante delle strategie geopolitiche, anche alla luce dei nuovi focolai di tensione in quella penisola. Ecco perché, allora, non è un caso che nell’intervista multipla rilasciata da Londra a diversi quotidiani europei – per l’Italia il Corriere della Sera – la presidente della Commissione abbia evitato con cura, affermazioni di principio a parte, di delineare un framework temporale anche solo ipotetico per la realizzazione del «sogno europeo» degli ucraini. 

Dentro o fuori?

L’altro corno, parallelo ma se possibile ancor più delicato, del processo di integrazione dell’Ucraina nelle istituzioni sovranazionali occidentali è quello della futuribile adesione di Kiev alla Nato. Questione, per l’appunto, scivolosissima, soprattutto a guerra ancora in corso, considerato che le motivazioni diffuse in maniera martellante dalla narrazione russa sulla guerra riportano a una presunta responsabilità proprio della Nato nel «provocare» l’aggressione militare con la sua strategia di allargamento fin sulla soglia dei suoi confini. Argomentazioni, come si ricorderà, che lo stesso Vaticano – oggi accreditato come l’unico, seppur improbabile, mediatore possibile tra i belligeranti – accreditò lo scorso anno per bocca di Papa Francesco. Ecco perché a poche settimane dal vertice della Nato in programma a Vilnius a metà luglio, molti governi sono tutt’altro che convinti dell’opportunità di far progredire il percorso di avvicinamento dell’Ucraina all’integrazione nell’Alleanza Atlantica, come Kiev vorrebbe. E la novità politica di sostanza, secondo quanto riporta l’Economist in un lungo reportage, è che il Paese a premere con più decisione sul freno sulla questione, al momento, è proprio quello che guida l’Alleanza: gli Stati Uniti. «Non ho intenzione di renderlo più facile», ha detto Biden nelle scorse settimane riguardo al processo d’adesione dell’Ucraina.

La ragione delle perplessità della Casa Bianca sono ancorate nella storia recente e in una certa dose di realpolitik, spiega il settimanale britannico. Mentre paradossalmente a spingere di più il dossier sarebbe ora la Francia di Emmanuel Macron, «la visione americana è che non deve fare ancora una volta una promessa che non è certa di non poter mantenere». Il riferimento è al «fallimento strategico» reso evidente dall’invasione russa del 2022: nel 1994, gli americani insieme a russi e britannici convinsero l’Ucraina ad acconsentire a rimuovere dal proprio territorio le armi nucleari di epoca sovietica in cambio di «garanzie di sicurezza» internazionali. Che con ogni evidenza non furono rispettate. E a poco più di un anno da imprevedibili elezioni presidenziali, Biden non può realisticamente garantire sul rispetto di nuovi solenni impegni da parte di un eventuale presidente repubblicano (nel peggiore degli scenari, se non altro per l’Ucraina, Donald Trump). Ma dietro alle resistenze degli Usa, più in generale, sono molti i governi del blocco Nato a pensare che non sia proprio il caso di spingere sul pedale dell’adesione dell’Ucraina mentre la guerra è in pieno, e imprevedibile, svolgimento. Meglio concentrarsi sui modi di continuare a sostenere nella maniera più efficace la macchina militare di Kiev perché riesca a ricacciare almeno in parte le forze russe fuori dal suo territorio. Più una speranza fideistica che una ragionevole ambizione, a dire il vero. Giacché come ricorda ancora cinicamente l’Economist, al netto delle promesse di sostenere l’Ucraina «per tutto il tempo necessario», l’Occidente non ha la benché minima idea di come o quando la guerra potrà finire. Né Kiev, di conseguenza, di come o quando potrà davvero entrare nell’Ue o nella Nato. 

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