La fuga dal paese d’origine e le pedalate per 30-40 euro al giorno: le storie di vita dei rider nelle città italiane

In Italia il settore del food delivery impiega circa 570mila persone, spesso con contratti irregolari o atipici

«Il problema principale della vita da rider non è pedalare. È la stronzaggine di certi clienti». Rosario, 40 anni, è nato in Sicilia ma adesso vive a Torino. «Sopravvivo. Non ho famiglia e condivido l’alloggio con altri e non ho molte pretese – spiega -. Quando guadagno, nel fine settimana riesco a limitare un po’ il lavoro». A raccogliere la sua storia e quella di altri rider è La Stampa, nella sua puntata settimanale dell’inchiesta L’Italia che lavora. La storia di Rosario, in realtà, è un po’ un’eccezione. Nel mondo del food delivery, buona parte dei lavoratori sono di origine straniera. Come Ahmad, 28 anni, afghano. «Sono scappato nel 2015 con la mia famiglia, ma non tutti. Mia sorella è rimasta a studiare là».


Lo sfruttamento nel food delivery

Con il ritorno dei Talebani, però, lei non può più studiare e Ahmad sta facendo di tutto per fare arrivare anche lei in Italia. «Quando sono partito avevo 20 anni. Abbiamo viaggiato a piedi: Afghanistan, Turchia, Grecia, poi la strada lungo i Balcani. Siamo arrivati fino in Germania, dove alcuni di noi avevano parenti». Lavorando come rider, Ahmad guadagna «1000-1.200 euro al mese», abbastanza per pagare l’affitto e mandare «qualcosa ai parenti quando si riesce». La sua storia è simile a quella di molti altri lavoratori del food delivery, un settore che in Italia impiega circa 570mila persone – spesso con contratti irregolari o atipici – e che nel 2021 ha raggiunto un giro di affari complessivo di 1,4 miliardi di euro. Come Ahmad, anche Imran – pakistano – è arrivato in Italia dalla rotta balcanica. E anche lui ora lavora come rider, almeno per alcuni mesi dell’anno. «D’inverno porto le pizze qui a Torino», racconta alla Stampa, «ma d’estate vado in Emilia-Romagna a raccogliere la frutta». In sella alla sua bicicletta, Imran guadagna «30-40 euro al giorno durante la settimana, 50-60 nel weekend».


La rotta balcanica

La stessa rotta balcanica l’ha percorsa anche Mohammed, 25 anni, che ora lavora come rider a Bologna. Un viaggio che nel suo caso è durato due anni e in cui si è stato costretto a fermarsi a lavorare prima in Turchia – «in un’azienda che produceva magliette», spiega – e poi in Grecia a raccogliere le olive. «Sono partito dal Pakistan perché ho litigato con mio zio, che era il padrone della famiglia – racconta alla Stampa -. Ora abito con altri ragazzi in un alloggio di Borgo Panigale, in periferia». Il suo sogno però è di andare via dall’Italia: «Voglio andarmene da qui e trasferirmi in Svizzera. Prima ci andrò e poi troverò sicuramente un modo per campare».

Credits foto: ANSA/Daniel Dal Zennaro

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