Caso Santanchè, il Senato respinge la mozione di sfiducia del M5s: 111 voti contrari, solo 67 a favore e il Terzo polo si assenta alla chiama – I video

Nessuna sorpresa, la ministra (per ora) resta in carica e raccoglie il sostegno di tutto il centrodestra

Qualche senatore si aggira per i corridoi di Palazzo Madama già alle 8 di mattino: è una di quelle giornate che, anche se dall’esito pressoché scontato, attirano le attenzioni di tutti gli attori che gravitano intorno alla politica. Parlamentari e assistenti, giornalisti e fotografi, osservatori e curiosi occasionali. Anche il governo fa sentire la sua presenza, non tanto per il rischio di vedere sfiduciato un suo membro, ma per restituire l’immagine di compattezza. Mentre Giorgia Meloni prepara le valigie per la sua prima visita ufficiale da premier negli Stati Uniti, alle 8.30 Roberto Calderoli già si muove per le sale del palazzo: qui è stato eletto per sei legislature di fila, conosce bene spazi e meccanismi che regolano anche gli avvenimenti più rari. E la mozione di sfiducia presentata ai danni di Daniela Santanchè è uno di questi: dal 2001 a oggi, 26 luglio, si sono dimessi 32 ministri in Italia. Ma mai nessuno in seguito a un voto di sfiducia, e nulla fa pensare che la titolare del Turismo farà un passo indietro. Anche perché la mozione a firma Movimento 5 stelle è lontana da raggiungere la maggioranza assoluta dei voti: Partito democratico e Alleanza verdi sinistra la supporteranno, Terzo polo e centrodestra, invece, non voteranno contro la ministra. Carlo Calenda auspica che sia Santanchè a fare un passo indietro e, come lui, alcuni esponenti del centrodestra che ritengono la presenza dell’imprenditrice nell’esecutivo più un problema che un’opportunità. Ufficialmente, però, Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia non faranno mancare il sostegno in Aula. Poco prima delle 13, al termine delle due chiame, il presidente del Senato legge il risultato della votazione sulla mozione di sfiducia. I presenti sono 179, quindi la soglia della maggioranza assoluta è fissata a 90. Il Terzo polo, come annunciato, si assenta a entrambe le chiame e l’esito finale è di 111 senatori contrari alla sfiducia e solo 67 a favore: la mozione dei 5 stelle è respinta.


Patuanelli illustra la mozione di sfiducia: «Non presentarla sarebbe stato ipocrita»

Puntuale, alle 10, la ministra si presenta in Aula. Seduto accanto a lei c’è il vicepremier Matteo Salvini e a presiedere la seduta c’è Ignazio La Russa, amico e a tratti consulente legale di Santanchè. Ma sono tanti i membri del governo: dalla tribuna si vedono Musumeci, Bernini, Giorgetti, Abodi, Casellati, Calderone, Fitto e Roccella. «Mi auguro di cuore che Santanchè esca pulita da ogni indagine, ma sono le condotte ad avere una discrasia con il giuramento che si fa quando si diventa ministro e l’onorabilità del ruolo pubblico». È questo il cuore della mozione, che si distanzia dalle questioni giudiziarie e punta a sollevare delle criticità squisitamente politiche. Stefano Patuanelli, capogruppo del M5s a Palazzo Madama, è il primo firmatario del testo e tocca a lui presentarlo: «La mozione è una conseguenza logica di quanto detto e non farla sarebbe stato ipocrita». Tino Magni, senatore di Alleanza verdi sinistra, introduce invece la discussione generale: cinque minuti a gruppo, poi altri dieci per ciascuna dichiarazione di voto. «Noi rappresentiamo i cittadini italiani. Ma se uno di noi ha un comportamento che contraddice le norme, è un problema. Su questo deciderà la magistratura, ma io mi pongo la questione della credibilità della ministra che mente sapendo di mentire. È un danno a sé, alla maggioranza e a tutto il Paese». Ettore Licheri, per i 5 stelle, esordisce riprendendo le parole di Santanchè: «”Affermo sul mio onore di non essere stata raggiunta da alcun avviso di indagine”, sventolando un certificato vecchio di sei, sette mesi. Una ministra che mente sapendo di mentire, apparendo agli occhi della popolazione come una maschera, a metà tra Pulcinella, che faceva il fesso per fare fessi gli altri, e Arlecchino, il campione di mille giravolte».

Ma finirà, sostiene Licheri, «come un Pinocchio schiacciato dal castello di bugie che ha raccontato agli italiani». Il senatore pentastellato si distingue per l’intervento più duro: «Non vi parleremo di avvisi di garanzia, ma di opportunità politica che è il rispetto dell’immagine e della reputazione del Paese. È sbagliata la vostra scelta di rifugiarvi nella vostra casa delle libertà e sbarrare le finestre, siete stati eletti ma il popolo di elettori non è un salvacondotto per fare di tutto. È sbagliata questa idea, che avete, di potere. Dopo questa sfiducia, resterà una ministra dello Stato che allo stato deve oltre un milione di euro di tasse non pagate e resteranno i suoi dipendenti e fornitori rimasti per strada. E se volete continuare a ridere, ridete pure pagliacci». L’Aula si riscalda e La Russa richiama il senatore grillino all’uso di un linguaggio consono. Ma ormai il clima è bollente: Alberto Balboni di Fratelli d’Italia, l’ultimo a intervenire nella discussione generale, stigmatizza il monologo di Licheri: «Non è con gli insulti che i 5 stelle recupereranno la verginità politica che hanno definitivamente perduto. Dovevate aprire quest’Aula come una scatoletta di tonno, invece nella casta vi siete integrati perfettamente».

L’intervento di Santanchè prima delle dichiarazioni di voto: «Ho già chiarito in modo solenne in quest’Aula»

Il gruppo che riunisce Italia Viva e Azione decide di non intervenire nella discussione generale. Lascerà al neo capogruppo Enrico Borghi lo spazio per la dichiarazione di voto, poi abbandonerà l’Aula al momento dell’appello nominale. Anche la Lega, e forse è un segnale, non interviene. Mentre per il Pd prende parola Vincenza Rando: «Cos’altro deve accadere per chiedere al ministro di fare un passo indietro? È evidente a tutti che la ministra Santanchè non può continuare a svolgere il suo ruolo, perché è venuto meno il rapporto di fiducia con l’istituzione che rappresenta: ha mentito a quest’Aula», ha detto la senatrice. Prima di passare alle dichiarazioni di voto, La Russa fornisce a Santanchè il tempo per replicare: «È la seconda volta che mi trovo in quest’Aula per rispondere ad accuse giornalistiche. Non intendo entrare nel merito in quanto ho già esposto i fatti con chiarezza e trasparenza. Ribadisco che il 5 luglio, quando sono intervenuta in Senato, non ero stata raggiunta da informazione o avviso di garanzia da parte della procura di Milano». Santanchè respinge quindi l’accusa di aver «mentito sapendo di mentire» e solleva ancora una volta la preoccupazione verso la comparsa sui giornali di informazioni giudiziarie che a lei erano ignote. In chiusura, aggiunge: «Ho difficoltà a comprendere una mozione di sfiducia individuale che non ha come oggetto il mio operato da ministro, e che ha come oggetto fatti antecedenti il mio giuramento da ministro e per i quali ritengo già di aver chiarito tutto in maniera solenne in quest’Aula: ho detto tutta la verità».

Le dichiarazioni di voto, De Cristofaro (Avs): «Se rubi al supermercato ti chiamano ladro, se accumuli un debito da un milione di euro ti nominano ministra»

Iniziano le dichiarazioni di voto e Peppe De Cristofaro, di Avs, pungola Meloni: «È giusto e inevitabile che sia il parlamento a intervenire» se non lo fa il presidente del Consiglio. «Quando un ministro è coinvolto in un’indagine come quella che coinvolge Santanchè, dovrebbe apparire a tutti evidente l’inopportunità della sua presenza: è urgente e necessario che si esca dal governo in questo caso. Mi ha colpito negativamente la mancata reazione della presidente Meloni che ha sempre rivendicato di non essere ricattabile e di non avere interessi da difendere. Sarebbe lecito aspettarsi che, sotto la sua leadership, la destra italiana si liberasse finalmente dall’intreccio di interessi affaristici e giudiziari. Se non è così, quelle di Meloni restano parole al vento. Se rubi pochi euro al supermercato vieni chiamato ladro. Se non paghi i lavoratori, se fai fallire i piccoli investitori, se non restituisci 2,7 milioni di euro di fondi Covid, diventi ministro. Capite bene che non può essere così. Lo dico non da solo, ma insieme alle decine di migliaia di persone che in questi giorni hanno firmato la petizione per chiedere le sue dimissioni». Per Luigi Spagnolli, del gruppo delle Autonomie, Santanchè «non doveva proprio diventare ministra perché vede il turismo di montagna come mero sfruttamento del territorio, non doveva diventare ministra perché ha sempre difeso i balneari senza mai spendere una parola sulle concessioni. Per rispetto delle istituzioni, rassegni le dimissioni. Qui il garantismo non c’entra nulla, c’entra la dignità dell’Italia».

E ancora: «Il groviglio di conflitto di interessi e di affermazioni fallaci fatte in Aula la rendono incompatibile con il suo permanere al governo. Il problema non è che lei rimanga ministro ma che lo sia diventata. Parafrasando Manzoni, l’etica se uno non ce l’ha, non se la può dare, ma può evitare di diventare ministro», conclude Spagnolli. Il capogruppo del Terzo polo, Borghi, esordisce con una riflessione sulla mozione di sfiducia come strumento. «Nel corso dell’esperienza, ci rendiamo conto che l’utilizzo delle mozioni individuali di sfiducia è andato via via crescendo in maniera proporzionale con la sterilità della politica». Inutili, insomma, ad eccezione «del caso del ministro della Giustizia Mancuso nel 1995». Borghi rileva anche «l’imbarazzo della presidente del Consiglio» e rivolge una domanda a Meloni: «Qual è la soglia che si è prefissata per poi intervenire?». Il punto, sostiene, è politico: «Fino a quando riterrà che nel proprio esecutivo possa permanere una personalità che ha problematiche per falso in bilancio, bancarotta, utilizzo improprio della cassa integrazione Covid? Meloni ci deve dire fino a quando questa situazione potrà essere sostenibile. È in capo a lei tutta la responsabilità politica e giuridica della permanenza di Santanchè». Borghi ufficializza, come già anticipato nei giorni scorsi, che il Terzo polo non parteciperà al voto per non fornire assist a Meloni.

Maiorino (M5s): «L’unico dicastero che le se addice è quello della menzogna»

Licia Ronzulli, come fatto in sede di discussione generale dal senatore azzurro Pierantonio Zanettin, sventola la bandiera del garantismo e schiera Forza Italia a difesa di Santanchè. Dopo di lei, prende parola per dieci minuti Alessandra Maiorino, dei 5 stelle: «Sappiamo benissimo che questa non è un’aula di tribunale, qui si fa politica e si misura se una persona è all’altezza o meno del ruolo che è chiamata a ricoprire con disciplina e onore e credo che mentire ripetutamente, in quest’aula e quindi al popolo italiano, non sia esattamente un comportamento specchiato. Ma la ministra Santanchè ha mentito più volte, anche oggi. Ha mentito prima e oggi, l’unico dicastero che le si addice è il dicastero della menzogna». La grillina si rivolge anche «ai renziani, che hanno deciso di fare da stampella a questo governo. Questa mozione avevamo il dovere di presentarla, si chiama patto con i cittadini, si chiama trasparenza, e noi rispondiamo ai cittadini, non alle strategie di palazzo». Maiorino attinge al codice etico di Fratelli d’Italia per evidenziare delle incongruenze con la permanenza di Santanchè al governo. Lo cita alla lettera: «”Chi si candida si impegna a non operare in situazioni di conflitto di interesse e a dimetterrsi in caso di vicende giudiziarie o condotte incompatibili con il prestigio e l’integrità richieste per ricoprire l’incarico”. Con queste parole vi siete presentati agli elettori, oggi tradite quanto scritto nel vostro codice etico. Avreste dovuto chiedere voi al ministro di dimettersi e di togliervi dall’imbarazzo».

Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega, afferma: «Se fossimo stati all’opposizione avremo anche noi sfruttato l’inchiesta giornalistica e giudiziaria per mettere in difficoltà la ministra. Quello che non avremmo fatto sarebbe stato l’errore di presentare una mozione individuale. Con una mossa sola avete rafforzato la ministra, la presidente del Consiglio e diviso l’opposizione. Un’operazione politica fantastica. Direi quasi una mezza disfatta, visto il pathos che ci avete messo oggi». Dopo una serie di contestazioni, Romeo arriva a conclusione: «Nel nostro Paese si è innocenti fino al terzo grado di giudizio. E in alcuni casi lo si è anche dopo la sentenza di condanna. La magistratura deve fare il suo lavoro, ma non si può usare per condizionare il potere politico che, invece, deriva dal mandato popolare. E i cittadini hanno deciso di affidare il governo al centrodestra: fatevene una ragione». L’ultimo a intervenire delle opposizioni è il senatore Dem Walter Verini: «Noi abbiamo il dovere di difendere innanzitutto l’onore, il decoro del parlamento e delle istituzioni. La ministra ha invece dato l’impressione di tenere più a se stessa che all’onore delle istituzioni. Lo ha fatto non dicendo la verità al Parlamento, negando evidenze. Negando fatti, dai quali hanno preso il via inchieste giudiziarie, che faranno il loro corso. Fino al termine di queste, la ministra è solo indagata».

Verini (Pd): «Ci sono evidenti imbarazzi nella maggioranza, non ci capacitiamo come tocchi alle opposizioni chiederle un passo indietro»

«Ma il punto non riguarda l’aspetto penale. Il punto è tutto politico, istituzionale. Ha a che fare con irregolarità nella gestione delle sue società, con contributi pubblici non restituiti, con disinvolte operazioni societarie, con una gestione non imprenditoriale, del personale. Con una gestione disinvolta e scorretta degli ammortizzatori sociali, della cassa integrazione. Ha a che fare con operazioni finanziarie e rapporti con fondi di investimento su cui sarebbe necessario squarciare ogni velo. Ha a che fare con trasferimenti di quote societarie a congiunti e conviventi per evitare, formalmente, conflitti di interesse. Ma che nella sostanza lei mantiene intatti. Come può occuparsi di concessioni balneari quando fino a pochissimo tempo fa deteneva quote di un noto stabilimento balneare in Versilia, cedute ora ad altrettanti noti suoi concittadini, soci e sodali? E come fa un ministro a trovarsi senza imbarazzo nella condizione di trattare rientri con le banche, rateizzazioni con le agenzie delle entrate? In Italia ci sono migliaia e migliaia di imprese, di imprenditori, che ogni giorno si rimboccano le maniche. Rispettano le regole. Chiedono, giustamente, meno tasse ma non le considerano un “pizzo di Stato”, perché sanno che servono a mantenere la sanità, la scuola, i servizi pubblici, le infrastrutture. In anni recenti, ministri si sono dimessi, non per ragioni penali, poi rivelatesi inconsistenti, ma per motivi di opportunità, mentre anche dalle vostre parti c’era chi strillava e invocava le dimissioni. Secondo noi nel caso della ministra Santanchè, ci sono cento motivi in più per fare un passo indietro. Non riusciamo a capacitarci come a chiederlo apertamente, perché abbiamo toccato con mano imbarazzi, non siano anche i suoi colleghi di partito e di maggioranza, che ora si apprestano a votare contro una sfiducia con scarsa convinzione».

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