Enrico Brignano e la romanità che non c’è più: «Ormai ci siamo ridotti al “Bella fraté”»
L’attore Enrico Brignano oggi racconta la sua carriera in un’intervista al Corriere della Sera. Partendo dalla sua infanzia a Dragona: «Famiglia piccolo-borghese, quel poco che avevi te lo facevi bastare. Papà faceva il fruttivendolo. Pulivo le verdure, spostavo le cassette. I bambini devono imparare, sennò crescono che non sanno fare niente, manco la pasta, non sanno se ci vuole l’acqua o si cuoce al sole. Per divertirsi c’era il campetto. O le giostre, alla festa patronale di Santa Maria Ausiliatrice, “Tieni ‘ste cinquemila lire e portami il resto”. La prima camera da solo l’ho avuta a 30 anni, quando sono andato via di casa». Nel colloquio con Giovanna Cavalli rievoca anche i viaggi a Roma per conoscere ragazze: «Puntavo sullo sfinimento, avevo due orecchie a sventola che levati, la giacca con due spalline grosse così, parevo Actarus di Ufo Robot».
La svolta
Poi le prime prove da attore sulla Roma-Lido: «La prendevo ogni giorno per andare a scuola. Studiavo da tecnico di industrie meccaniche perché, come diceva mio padre “un pezzo di carta ce vò, quanno è là… ehè…” . Tra una fermata e l’altra proponevo le imitazioni: Corrado, Mike, Vanoni, Fabrizi, Fanfani e Andreotti. La gente si divertiva. Ma io controllavo chi non rideva. Mi prendeva d’aceto. E mi accanivo finché non cedeva». Prova a conoscere Gigi Proietti: «A 17 anni, accompagnato da mamma e papà, andai a Trastevere a chiedere informazioni. Ma arrivò la cartolina rosa. Apro parentesi: quando in caserma scattò il contrappello, le altre “spine” mi avvisarono: “Attento che passa il sergente di giornata a controllare i letti”. E io: “Capirai, non conoscete mia madre, se non metto a posto il pigiama e le ciavatte , altro che stai punito”».
Il primo provino
Il primo provino non si scorda mai: «Quando Gigi entrò, quasi non riuscivo a parlare, ero tesissimo, volevo morire sul posto. Lui impassibile. Disperato, attaccai con lo sketch dell’annuncio dei treni in partenza, ripetuto in ogni dialetto. Alla fine ridevano tutti i provinanti. E pure Gigi. Mi ero fatto le ossa con le serenate sotto ai balconi. In sei, vestiti da Rugantino, pantaloni di velluto pure ad agosto. Ci davano 700 mila lire, una piotta a testa». Mentre adesso avverte un certo declino della romanità: «Siamo in caduta libera, nel declino totale anche della lingua. Ridotti al “Bella, fratè ”. La romanità vera non c’è più. Quella di adesso — auto a noleggio e mazzette di soldi mostrate su TikTok — non mi piace, è cafona e sgraziata. Il coatto buono di cuore non esiste più, rimpiazzato da gente che si tatua il filo spinato sul braccio o si fa il polpaccio nero, manco avesse strusciato contro la marmitta».
I migliori amici
Spiega che i suoi migliori amici «per una questione di igiene mentale, sono persone che non fanno questo mestiere. Nel mio ambiente mi trovo bene con Salemme e Panariello, Maurizio Casagrande, Max Tortora, Lillo. Ma quando hai bambini piccoli, molti ti cancellano. Altro che drink e aperi-cena, noi al massimo chiediamo: “Ce l’hai lo Zymil?”». Giorgia è vicina di casa . «A due appartamenti dal mio. La sento cantare. Ci incontriamo ai bidoni con i sacchetti dell’umido». Infine, racconta di quando il giorno delle nozze gli venne il colpo della strega. «Colpa dell’aria condizionata a -18. Un male cane. “Corri e porta il bisturi”, supplicai il dottore. La tata Laura mi ha fatto un siringone alle 10 e uno alle 15, la sera al ricevimento ho pure ballato».