I fondi per i reparti di maternità non bastano: come funzionano e cosa cambia da regione a regione – L’inchiesta

Quanti soldi prendono gli ospedali per ogni tipo di ricovero? La terza puntata dell’inchiesta di Open sulla chiusura dei reparti di maternità in Italia

«Per un parto spontaneo, che necessita di due o tre giorni di degenza, tutte le ostetriche che cambiano il turno, l’anestesista, il neonatologo di guardia 24 ore, l’infermiere di reparto, i farmaci, la disponibilità h24 della camera operatoria e tutti i materiali connessi, il nostro ospedale prende 1.227 euro. Mentre per l’asportazione di un lipoma, che il chirurgo fa da sé in day hospital in circa due ore 2 ore, prende 1.050 euro». Con questo esempio Corrado Ferrari, pediatra neonatologo del reparto di Ostetricia, Ginecologia e Neonatologia dell’ospedale Cristo Re di Roma, mette in evidenza a Open le controversie che riguardano i fondi regionali forniti agli ospedali. Il riferimento è ai cosiddetti Drg (Raggruppamenti omogenei di diagnosi), ovvero – come anticipato nella prima puntata dell’inchiesta di Open sulla chiusura dei reparti di maternità in Italia – i sistemi che permettono di classificare i pazienti dimessi da un ospedale, sia pubblico che privato, per assorbimento di risorse impegnate, e quindi quantificare quanto la Regione paga per quei ricoveri. 


Lo scorso mese ha fatto notizia la possibile chiusura del reparto di Ostetricia, Ginecologia e Neonatologia del Cristo Re di Roma. Una struttura che negli anni si è guadagnata diversi riconoscimenti per l’eccellenza conseguita. A bloccarne poi la chiusura è stato l’intervento del presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, che ha minacciato la struttura privata Giomi – a capo dell’ospedale – di togliergli i fondi regionali e che non ci sarebbe stato spazio per discussioni sulla riconversione dei posti letto. Seguendo l’esempio del neonatologo Ferrari, appare chiaro che dal punto di vista economico c’è una gerarchia dove determinati reparti risultano più convenienti ai privati, rispetto a quelli di maternità. E così logiche economiche e di profitto portano le società a chiudere i battenti di certi reparti. Ma di che cifre stiamo parlando? E, soprattutto, come cambiano da regione a regione?


Le differenze dei fondi a seconda delle regioni: volano quelle a statuto speciale

Le differenze di rimborsi cambiano da regione a regione. Mentre la gran parte ha adottato tariffe proprie sulla base di analisi interne dei costi medi standard – sia fissi che variabili -, come ad esempio il costo del personale o dei materiali, Lazio, Piemonte e Sicilia hanno adottato direttamente le tariffe ministeriali del 12 ottobre 2012, pertanto sono uguali. Se si confrontano le tariffe in euro dei ricoveri ospedalieri di almeno 2 notti per gravidanza, parto e puerperio, appare evidente che per la quasi totalità delle tipologie di interventi, il valore più alto è quello alle regioni a statuto speciale. Ad esempio, per un parto cesareo senza complicazioni la Lombardia, il Lazio, la Sicilia e il Piemonte prendono 2.092 euro, mentre la Toscana 2.343, il Veneto 2.197 e il Friuli Venezia Giulia 3.283. Invece, per un parto cesareo con complicazioni Piemonte, Lazio e Sicilia ricevono 2.782 euro, l’Emilia Romagna 2.977, la Campania 3,371 e il Friuli 4.691.

I ginecologi: «Rivedere i rimborsi per il parto spontaneo»

Si tratta di tariffe che non sembrano fare abbastanza da deterrente ai privati nel chiudere i reparti di maternità. Nel tempo, in materia di Drg, si sono mobilitati anche gli stessi ginecologi. Lo scorso aprile, la Società Italiana di Ginecologia ed Ostetricia (Sigo) ha, infatti, diffuso una nota in cui chiedono al ministero della Salute la revisione dei rimborsi per il parto spontaneo, meno prevedibile in termini di risorse da utilizzare rispetto a quello cesareo, e di adottare un rimborso più adeguato per l’attività di ricovero di lunga degenza per quanto riguarda la medicina materno-fetale.

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