Myriam Sylla, la capitana della nazionale di volley e il razzismo: «Da bambina i compagni di scuola non mi facevano sedere accanto a loro»

L’infanzia a Palermo e il passaporto verde: «Sono italiana o no?»

Myriam Fatime Sylla è capitana della nazionale femminile di volley dal 2021. Gioca nel Monza. E in un’intervista al Corriere della Sera racconta oggi la sua carriera e il razzismo. Iniziando dal punto di partenza: Palermo. «Sono andata via quando avevo 5 anni, poi ho vissuto Palermo, grazie ai miei nonni, fino ai 14. Quando lo sport mi ha riempito le estati, non sono più potuta tornare. Ma un mese fa ho fatto una sorpresa alla nonna, che non mi vedeva da un bel po’: mi ha trovato un po’ cresciuta», racconta a Flavio Vanetti. I genitori di Sylla sono originari della Costa d’Avorio anche se lei è nata nel capoluogo siciliano 28 anni fa. «Papà era arrivato a Bergamo. Dormiva alla Caritas. Ma faceva freddo e mio zio soffriva: così si trasferirono al Sud. Una sera quella signora, rientrando a casa in macchina, vide mio padre e lo aiutò. Lui cominciò a lavorare per la famiglia, quindi mia mamma lo raggiunse: quando nacqui io, queste due persone si affezionarono. Alla nursery facevano vedere a mia nonna tutti i bimbi bianchi. E lei: “No, è quella lì”. L’infermiera strabuzzava gli occhi…».


Cittadina d’Italia

Sylla si sente cittadina d’Italia. I suoi si sono trasferiti: «Ci vivono mio papà, che lavora sui treni, oltre a mio fratello e a mia sorella. La famiglia mi manca e quando avevo 25 anni ho perso un cardine: la mamma è sempre… la mamma. Ed è morta tra le mie braccia. In quel momento, però, ho avuto anche grandi testimonianze d’affetto. Ad esempio, quella di Paola Egonu, una persona per me speciale: mi disse che avrebbe mollato ogni cosa e sarebbe venuta con me. Non è da tutti e lei all’epoca giocava ancora a Novara». E dice che quando la chiamano “negra” «che lo si dica per insultare o tanto per parlare, io correggo sempre. E spiego che i compagni mi prendevano in giro, mi svuotavano lo zaino nel pullman e non mi facevano sedere accanto a loro. Non gliela farei passare liscia: non odio, però evito di perdonare». Si è battuta per lo ius soli: «Per 10 anni ho avuto un passaporto verde, pur non essendo stata in Costa d’Avorio ed essendo nata e vissuta in Italia. Ad un certo punto ho avuto una crisi d’identità e mi sono detta: sono italiana oppure no?».


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