No! Alluvioni e cloud seeding non sono collegati

Spieghiamo nuovamente perché il cloud seeding non può causare le alluvioni

Ha riscosso una certa attenzione un recente post Facebook di Rosario Marcianò, dove il guru italiano della teoria del complotto sulle Scie chimiche mette nuovamente in correlazione alluvioni e cloud seeding. Secondo l’autore le alluvioni, che hanno colpito recentemente anche diverse regioni italiane, non sarebbero dovute al cambiamento climatico, bensì a operazioni di cloud seeding (inseminazione delle nuvole). A dimostrarlo uno studio del 1966 che collegherebbe gli esperimenti di questa tecnica con le alluvioni che colpirono l’Italia nello stesso anno. Vediamo perché queste affermazioni su alluvioni e cloud seeding sono prive di fondamento.

Per chi ha fretta:

  • Rosario Marcianò usa uno studio pionieristico del 1966 (pubblicato nel 1970) per sostenere che il cloud seeding può provocare alluvioni disastrose, come quelle che colpirono l’Italia nel 1966.
  • Il paper in oggetto suggerisce che i propri esperimenti abbiano portato a un incremento di precipitaizioni, sulla base di dati limitati.
  • Tuttavia influire sulle precipitazioni in aree circoscritte non equivale a influire su interi climi o generare alluvioni devastanti.
  • Lo studio citato non fornisce niente che possa dimostrare la tesi di Marcianò.
  • Narrazioni simili circolarono anche nel 2016 durante le alluvioni che colpirono la Tasmania, anche in quel caso non emersero dati a dimostrazione di un collegamento causale.

Analisi

Riportiamo i punti salienti del post in oggetto su alluvioni e cloud seeding:

Ricordate le devastanti alluvioni del 1966? Proprio nel fatale 1966 furono condotti esperimenti di “cloud seeding”, cioè di “inseminazione delle nubi” con agenti chimici. Titolo dello studio, in inglese: “A Biennal Systematic Test of some Newly-Developed Cloud-Seeding Nucleants, under Orographic Conditions” (documento allegato – vedi link). Tre ricercatori – Alberto Montefinale, Gianna Petriconi [1] (Ricordate la Petriconi?) ed Henry Papee, spiegano che, dal gennaio del 1966 al giugno del 1968, fu condotto un “test sistematico” di sollecitazione delle nuvole sui Colli Prenestini, ad est di Roma. Obiettivo: provocare l’aumento delle precipitazioni mediante “dispersione di aerosol” in atmosfera.

Riassunto: “Un esperimento sistematico di inseminazione delle nuvole è stato condotto nelle Colline Prenestine, ad est di Roma, nel periodo gennaio 1966 – giugno 1968. […] nonostante una quantità relativamente piccola di nuclei utilizzati per l’operazione di semina e nonostante un disegno di valutazione dei dati apparentemente svantaggiato, i rapporti normalizzati e cumulati degli eventi di precipitazione, associati a quei periodi di tempo, indicano aumenti significativi durante l’estate e l’autunno e diminuzioni significative durante la stagione invernale, sull’area considerata. NdR”.

Alluvioni e cloud seeding

La rivista Pure and Applied Geophysics pubblicò lo studio in oggetto nel 1970. Marcianò riporta la versione integrale nel suo post. Effettivamente, al netto delle dimensioni ridotte dell’esperimento, gli autori sembrano entusiasti, suggerendo una certa efficacia. Bisogna vedere però se tali risultati sono stati confermati o smentiti in successivi lavori. Il paper a cui si riferisce Marcianò viene citato in due studi successivi: una revisione (Montefinale et al., 1971) e uno studio (Gori et al., 1972). Curiosamente in tutti e tre i lavori troviamo Montefinale, mentre Petriconi è presente negli studi del ’70 e del ’72.

Dal momento che sappiamo come si formano le precipitazioni atmosferiche – spiegavamo in un precedente articolo -, da decenni esistono studi sulla possibilità di inseminare le nuvole. Il primo a suggerirlo è stato l’ingegnere tedesco Louis Gathmann nel 1891. Il primo studio di rilievo è apparso nel 1947 sul Journal of Applied Physics. Il principio di base è quello di irrorare delle sostanze in grado di generare a contatto con l’umidità atmosferica dei cristalli di ghiaccio. Si possono usare dei sali, come lo ioduro d’argento. Negli Emirati Arabi Uniti queste sostanze vengono sprigionate mediante dei droni. Per ironia della sorte i limiti di queste tecniche dimostrano proprio che i teorici delle scie chimiche si sbagliano. Infatti tutt’oggi i risultati sono incerti – e stiamo parlando di determinare il tempo atmosferico in zone limitate -, figuriamoci quanto sarebbe difficile e dispendioso applicare queste tecniche per il clima.

Marcianò non è l’unico a cercare un nesso causale tra alluvioni e precedenti operazioni di cloud seeding. I colleghi di Reuters si sono occupati delle tesi di complotto che collegavano le alluvioni del 2016 nella Tasmania meridionale a operazioni di inseminazione delle nuvole. Parliamo quindi di tecniche che si suppone più avanzate rispetto a quelle del Secolo scorso.

Un portavoce della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) aveva ammesso a Reuters che effettivamente il cloud seeding è «la più comune – in realtà l’unica tecnica di modificazione meteorologica ampiamente utilizzata», tuttavia, come accennavamo l’inseminazione delle nuvole una tecnica ancora «abbastanza rudimentale e i risultati sono molto localizzati».

I colleghi di Associated Press, occupatasi della medesima narrazione, intervistarono Sarah Tessendorf, ricercatrice di un progetto di cloud seeding del National Center for Atmospheric Research in Colorado:

[L’inseminazione delle nuvole, Ndr] non ha la capacità di produrre improvvisamente tutti i tipi di forti piogge e nevicate – spiega Tessendorf -. Questo processo non è proprio impostato per prendere una nuvola che potrebbe non essere un efficace nel produttore precipitazioni e trasformarla improvvisamente in una nuvola più efficiente che produce inondazioni.

Insomma, non è possibile prendere uno studio datato, dove i ricercatori semplicemente suggeriscono di essere riusciti a incrementare delle precipitazioni, come prova della possibilità di scatenare alluvioni disastrose. Occorrerebbero studi più recenti e con evidenze dirette, che infatti non esistono.

Conclusioni

Nulla di rilevante sembra essere emerso riguardo alla possibilità di influire sul clima di intere regioni attraverso tecniche di cloud seeding, provocando addirittura delle alluvioni disastrose. Infatti non esistono revisioni sistematiche o meta-analisi pubblicate su riviste autorevoli che dimostrino tale nesso causale.

Questo articolo contribuisce a un progetto di Facebook per combattere le notizie false e la disinformazione nelle sue piattaforme social. Leggi qui per maggiori informazioni sulla nostra partnership con Facebook.

Leggi anche: