Strage di Brandizzo, parla il capo della Sigifer: «Quei lavori non sarebbero mai dovuti iniziare, nessun compromesso sulla sicurezza»

Franco Sirianni rompe il silenzio dopo sei giorni, «stremato» dai sospetti di responsabilità sulla sua ditta: «Ho visto l’orrore subito dopo, non si può riferire»

I famigliari delle vittime. I sindacati. Dipendenti o ex tali delle Ferrovie o di ditte appaltatrici. Gli stessi indagati. Mancava una voce all’appello, da giorni, sulla strage di Brandizzo, tra le tante che hanno acconsentito sin qui a parlare in pubblico o le cui dichiarazioni ai magistrati sono venute alla luce: quella del capo della ditta per la quale lavoravano i cinque operai morti la sera del 30 agosto a Brandizzo, la Sigifer di Borgo Vercelli. Stasera, a sei giorni dalla tragedia, Franco Sirianni rompe il silenzio. Lo fa parlando con La Stampa, «stremato» da chi da giorni lo accusa più o meno esplicitamente di qualche complicità nell’accaduto, o anche solo di non avere a cuore le famiglie delle vittime. «Aspettavo prima di essere convocato in procura», spiega all’inviato Niccolò Zancan. «Ma ora basta, non ce la faccio più, in giro ci sono troppi sciacalli. Ho sentito dire troppe cose sbagliate». E così vuota il sacco. A cominciare dalla ricostruzione di quella drammatica sera. «Stavo dormendo. La prima telefonata non l’ho sentita, mi sono svegliato di soprassalto alla seconda. Era il direttore tecnico Christian Geraci. Si trovava in zona, era accorso. Diceva parole come “morti”, “incidente”, “strage”». Nel giro di pochi minuti Sirianni, che ha rilevato la «Si.Gi.Fer Armamenti Ferroviari» dal padre Giovanni, si precipita alla stazione di Brandizzo, là dove è avvenuta la tragedia. La scena che vede su quei binari «non si può riferire» – basti la conferma che l’identificazione dei cinque operai, insieme con i primi agenti accorsi, è parsa da subito difficilissima. Sirianni però ci tiene a smontare l’accusa-principe che in questi giorni sta montando contro chi compie lavori di quel tipo per conto di Rfi, inclusa la sua ditta: quella di accettare, più o meno consapevolmente, di far lavorare i propri uomini sui binari senza la dovuta interruzione della tratta ferroviaria, magari per questioni di lucro. Nega nella maniera più assoluta, il capo della Sigifer, che fosse quella la prassi: «Assolutamente no, non dovevano essere lì. La scorta di Rfi non doveva fare iniziare i lavori senza la linea libera. Le regole sono chiare. Per noi la sicurezza è sempre stata al primo posto. I ragazzi lo sapevano. Non volevamo neanche che usassero i cellulari durante gli interventi». Il riferimento è evidentemente anche al video girato pochi minuti prima della strage da uno degli operai rimasti uccisi, Kevin Laganà, che Sirianni dice di non essere riuscito a guardare, straziato dal dolore dopo pochi secondi.


La formazione degli operai e le procedure di sicurezza

Nel colloquio con La Stampa, Sirianni smonta poi anche due altre accuse rimbalzate più o meno esplicitamente nelle ultime ore e su cui è verosimile stiano conducendo accertamenti gli stessi inquirenti della procura di Ivrea: quella di possibili carenze nella formazione del personale inviato a svolgere i lavori di manutenzione sui binari, e quella di una sottovalutazione delle procedure di sicurezza sul lavoro a fini di guadagno economico. Quanto alla prima, Sirianni non ha dubbi che la squadra inviata a Brandizzo fosse preparata per quel tipo di lavoro «Il caposquadra Andrea Gibin (uno dei due indagati, ndr) è un saldatore da molti anni. Da poco tempo era diventato saldatore anche Michael Zanera. Entrambi hanno fatto dei corsi con Rfi per ottenere quel brevetto». Gli altro quattro erano invece operai semplici, «ma per usare il forcone nei sassi della massicciata basta essere degli operai. E loro erano bravissimi operai». Quanto al secondo sospetto, Sirianni è ancora più tranchant: «Nessuno doveva autorizzare quel lavoro. Era un lavoro banale, che poteva anche essere rimandato senza penali per l’azienda. E rimandato, anche, senza problemi per gli stipendi degli operai. Questa è un’altra menzogna che ho sentito: il turno viene sempre pagato. Lavoro fatto o non fatto. Per noi la sicurezza è sempre stata la cosa più importante».


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