«Maria Chindamo uccisa e data in pasto ai maiali»: blitz contro la ‘ndrangheta risolve il giallo. Gratteri: «Non le fu perdonata la sua libertà»

L’allora 42enne imprenditrice scomparve a Limbadi, in provincia di Vibo Valentia, nel 2016: arrestato il sospetto omicida nella maxi operazione per l’indagine Maestrale-Carthago

Maria Chindamo aveva 42 anni quando fu rapita e scomparve il 6 maggio del 2016 a Limbadi, in provincia di Vibo Valentia. Dopo 7 anni, grazie al lavoro d’indagine dei carabinieri coordinati dal procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, è stato arrestato colui che si ritiene essere il suo assassino. «Oggi l’aria ha il profumo della giustizia», ha detto suo fratello, Vincenzo Chindamo, «avere perseguito per tutti questi anni la ricerca della verità sull’uccisione di mia sorella alla fine ha dato risultati. Non ho mai smesso di credere nell’operato della magistratura, anche quando ci poteva essere qualche momento di sconforto. E quanto è emerso oggi premia quella perseveranza». La maxi operazione della Direzione distrettuale antimafia nell’ambito dell’indagine Maestrale-Carthago ha portato oggi all’esecuzione di misure cautelare nei confronti di 84 persone del mondo della politica e dell’imprenditoria: 29 in carcere, 52 ai domiciliari e 3 con obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Tra loro anche Salvatore Ascone, indicato da diversi collaboratori di giustizia come uno degli assassini della donna. Un omicidio afferato, è quello che emerge dall’inchiesta. Maria Chindamo fu uccisa e il suo corpo fu dato in pasto ai maiali per far sparire ogni traccia. Insieme ad Ascone c’erano altre due persone, una minorenne all’epoca dei fatti e un’altra deceduta nel frattempo. Si tratta della seconda tranche di arresti: «Sono 170 i soggetti indagati con 200 capi d’imputazione. Ogni gruppo reclamava la propria quota estorsiva», ha detto il colonnello Luca Toti, «si è trattato di un importante sforzo investigativo che ha portato alla disarticolazione delle cosche».


La storia di Maria Chindamo

Maria Chindamo fu sequestrata il 6 maggio 2016, a un anno esatto dalla morte per suicidio di suo marito Vincenzo Puntoriero, avvenuto l’8 maggio 2015. Secondo gli inquirenti, l’imprenditrice fu uccisa perché aveva iniziato una relazione sentimentale dopo la morte del marito, e perché la donna aveva iniziato a occuparsi della proprietà di alcuni terreni appartenuti in precedenza al marito e finiti nell’interesse di alcune cosche di ‘ndrangheta. Ma è il procuratore Gratteri, parlando dei passaggi dell’inchiesta che hanno condotto all’operazione di queste ore, a spiegare l’altro movente. Una punizione frutto del risentimento nei confronti della donna in quanto tale. «Non gli è stata perdonata la sua libertà, la gestione dei terreni avuti in eredità e su cui c’erano gli appetiti di una famiglia di ‘ndrangheta e il suo nuovo amore», ha spiegato insieme al colonnello Paolo Vincenzoni, della sezione Crimini violenti del Ros e del colonnello Luca Toti comandante provincia di Vibo Valentia, «tutto questo perché questa donna, Maria Chindamo, dopo il suicidio del marito avvenuto l’anno precedente alla sua scomparsa a maggio 2016, ha pensato di diventare imprenditrice e di curare gli interessi della terra e dei suoi figli e si è pure iscritta all’università. Questa sua libertà, questa sua voglia di essere indipendente, di essere donna non gli è stata perdonata e tre giorni dopo che aveva postato sui social la foto con il suo nuovo compagno è sparita. La sua uccisione è stata straziante. Oltre ad essere stata data in pasto ai maiali i suoi resti sono stati triturati con un trattore cingolato. Questo dà il senso e la misura della rabbia e del risentimento che chi ha ordinato l’omicidio aveva nei suoi confronti. Lei non si poteva permettere il lusso di rifarsi una vita, di gestire in modo imprenditoriale quel terreno e di poter curare e fare crescere i figli in modo libero e uscendo dalla mentalità mafiosa».


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