Romano Prodi: «Dire no al salario minimo è una vergogna»

L’ex premier: la destra ha paura dei cambiamenti di sistema

L’ex presidente del Consiglio Romano Prodi parla oggi di salario minimo e Unione Europea in un’intervista a La Stampa. Nel colloquio con Annalisa Cuzzocrea parte dall’attacco del governo italiano al commissario europeo Paolo Gentiloni: «Ci stiamo allontanando dalla logica dei parametri che servono a lavorare insieme. Stiamo esagerando e non è che si possa dare la colpa al nostro commissario». Anche perché «il leader della Lega strumentalizza a uso politico qualsiasi cosa gli sembra possa essere gradita al palato di chi deve ingoiare le sue parole. Ma dimentica due cose. Nessuno può accusare il nostro commissario di non essere attento agli interessi degli italiani e di non prendere in considerazione il nostro punto di vista. Allo stesso tempo, un commissario giura fedeltà all’Europa, non è un avvocato prezzolato del governo. Gentiloni dev’essere un serio arbitro e come tale si sta comportando. Se non fosse così avrebbe tutti contro e non sarebbe certo questo l’interesse dell’Italia. Ma poi le pare si possa considerare Gentiloni squilibrato?».


Poi parla del salario minimo: «Su questo ho letto tutti, giuristi, sindacati e faccio un ragionamento molto semplice: se noi non garantiamo sei euro netti all’ora a chi lavora, perché questo sono i 9 euro lordi, siamo un Paese che deve vergognarsi di se stesso. Siamo al di sotto del minimo vitale per una persona che deve vivere. Non tiriamo fuori finezze giuridiche o interessi particolari. Limitiamoci a constatare che con meno di così si muore». Infine, Prodi attacca anche il decreto Caivano: «La criminalizzazione, i blitz, sono misure occasionali che servono a colpire l’opinione pubblica. Quando invece si tratta di fare un cambiamento di sistema, come il salario minimo, la destra arretra».


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