Sul palco del Festival di Open, la nuova Italia di Ghali: «Sono un ragazzo di quartiere e i quartieri in Italia non hanno un’etnia» – I video

Il rapper sul palco di piazza Garibaldi a Parma insieme alla scrittrice Alia Malek: «Dobbiamo smetterla di inserire Baby Gang, Simba La Rue nel calderone di artisti che incitano alla violenza»

«Io mi chiamo Ghali, non ho un nickname, mi chiamo così dalla nascita e tutti noi abbiamo un peso e una responsabilità da quando siamo nati». A dirlo è Ghali nel talk – moderato dalla vicedirettrice di Open Serena Danna – dal titolo “Il Mediterraneo e il sogno di una nuova ospite” al «Festival di Open – Le sfide del futuro», in programma a Parma il 15 e il 16 settembre. Il rapper italo-tunisino torna alle origini e ripercorre sul palco di piazza Garibaldi la sua carriera, chi era e chi è diventato. Uno dei cantanti più amati in Italia che ha sfidato, più di una volta, i preconcetti nei suoi confronti. «Nessuno mi ascoltava – racconta Ghali -, avevo questa passione per il rap, per la musica e iniziavo a vedere intorno a me diversi cantanti che portavano un qualche messaggio. Li seguivo, ma non vedevo – confida – qualcuno che mi rappresentasse davvero». E proprio in quel momento ha capito che «l’unico modo – sottolinea il rapper – di raccontare la mia storia era farlo con la musica perché dovevo esorcizzarla, insieme ai miei traumi, al mio passato e come minimo trarne vantaggio». Per quanto possano essere state difficili, tutte le esperienze vissute, doveva farlo per dare voce a tutte quelle persone che stavano vivendo la sua stessa situazione. «Non erano nel mio quartiere o nella mia città, ma in tutta Italia c’erano persone che avevano bisogno di sentire che qualcuno stava vivendo quelle stesse esperienze». 


L’incontro con la scrittrice Alia Malek

Presente sul palco anche Alia Malek, scrittrice e avvocata dei diritti umani che ha dedicato un reportage al rapper Ghali sulle pagine del New York Times, dopo che lo stesso ha acquistato una nave ausiliare per la Mare Jonio, imbarcazione della flotta di Mediterranea Saving Humans a cui ha dato il nome “Banya”. «In realtà lavoro su questi temi da anni, forse prima della nascita di Ghali. Sono venuta in Italia a 19 anni per studiare a Bologna, poi sono tornata a lavorare qui, dopo che mi sono laureata. Era la prima volta che sentivo di parlare di “Nuova Italia”, ovvero multiculturale. Il mio primo giorno di lavoro stavano parlando della prima Miss Italia del ’96 che era nera e si chiedevano se fosse veramente Italiana. E per noi americani – continua – è veramente una cosa strana», spiega la scrittrice confidando di essere stata fermata nel 2011 per firmare la nuova campagna per dare la cittadinanza agli italiani di seconda generazione «e per me – conclude Alia Malek – era veramente assurdo, perché anche io sono nata negli Usa ma da genitori stranieri».


Il rapporto con il quartiere

«Prima delle origini, prima delle provenienze io sono un ragazzo di quartiere», spiega Ghali. E chi vive nei quartieri «non sente le distinzioni» perché «sia gli italiani che gli stranieri vivono le stesse difficoltà: i quartieri in Italia non hanno un’etnia», spiega il rapper sul palco di piazza Garibaldi. A un certo punto della sua carriera, Ghali ha cambiato che qualcosa stava cambiando: «qualcosa è esploso», racconta. «Riuscivo a parlare alle persone a casa che guardavano Maria de Filippi e ai ragazzi nel parco che fumavano le canne. Era una questione di codice, di linguaggio, ma io cercavo di raccontare quello che mi stava attorno in quel momento», conclude. 

Baby Gang, Simba la Rue e altri rapper 

«Dobbiamo smetterla di inserire Baby Gang, Simba la Rue nel calderone di artisti che incitano alla violenza», spiega ancora Ghali, riferendosi ai rapper emergenti. Questo perché, spiega ancora il cantante, «sembrano che siano loro il motivo del disordine nel nostro Paese faranno fatica ad uscire, a fare musica, a fare la loro vita da artisti, perché è un sabotaggio. Penso che comunque – continua – siano degli artisti che stanno raccontando la loro realtà, quello che hanno vissuto, non stanno esagerando, e sono vittime di un sistema che c’è. Alcuni lo vedono, altri no». Entrambi hanno frequentato carceri minorili, sono stati affidati a famiglia, a comunità: «Loro – spiega Ghali – vedono in un Don (Claudio) quello che lo Stato non ha fatto per loro», conclude. 

«Io credo in una nuova Italia»

«Ci credo in una nuova Italia. Essere qui stasera è l’occasione per raccontarla, per discuterne. Questa è la nuova Italia: parlare, ascoltare, dialogare. Io ci credo sempre. Ci credo perché ci sono tutte le carte in regola per fare delle grandi cose. Ci sono menti brillanti, c’è gente che è aperta a questo».

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