Festival di Open, Dario Fabbri: «I valori occidentali che abbiamo esportato in giro per il mondo sono diventati indigesti» – Il video

Il direttore della rivista Domino è stato intervistato in piazza Garibaldi a Parma dal giornalista di Open Simone Disegni

Immigrazione, soft power turco, i mutevoli assetti geopolitici dall’Africa alla Russia, le richieste dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). Questi e molti altri sono stati gli argomenti su cui si è incentrato l’intervento del direttore della rivista DominoDario Fabbri, intervistato dal giornalista di Open Simone Disegni in occasione della seconda giornata del Festival di Open a Parma. A cominciare da vicino, dall’Italia: un punto di partenza strettamente legato all’attualità, da quanto sta accadendo a Lampedusa negli ultimi giorni, dove continuano gli sbarchi e le difficoltà.


La questione migratoria

Dario Fabbri inizia precisando che quando si parla di migrazione bisogna trovare compromessi che esulano dalle ideologie: tutti i governi, non solo quello italiano, sono costretti a stringere accordi con i Paesi da cui partono le imbarcazioni, anche se sono guidati da dittatori. Anche perché bisogna fare i conti con aree del mondo, come l’Africa, che per la loro crescita demografica si affermeranno con maggior forza nel futuro. «E bisogna considerare – ricorda Fabbri – che il 90% delle migrazioni africane avviene all’interno dello stesso continente». Nonostante l’Italia abbia un passato di successi diplomatici – Fabbri ricorda le relazioni intrecciate in passato tra il nostro Paese e la Libia -, in questo momento storico «qualcun altro è più abile di noi a presentarsi come grande amico di certi governi, che ci piaccia o meno».


Le mire sull’Africa

In questo scenario, non è difficile per chi non ha un passato colonialista in Africa approfittarne. Come la Russia, dal momento che «i valori occidentali che abbiamo esportato in giro per il mondo sono assai indigesti per determinati paesi». Diventa così più facile per quei Paesi per loro proporsi con un’immagine da liberatori. E non è certo la Russia l’unico stato ad avere mire sul continente: tra tutti i rivali spiccano in particolar modo Turchia e Cina. Entrambe usano le armi degli investimenti e della cultura: Fabbri fa l’esempio specifico del soft power turco, che attraverso serie televisive e musica riesce a fare molta presa in determinate aree.

La Russia di Putin

La discussione non poteva sorvolare sulla questione russa. E parte dalla scomparsa di Yevgeny Prigozhin, il leader della Wagner, dichiarato morto nell’incidente aereo in cui sono rimaste vittime altre nove persone lo scorso 23 agosto. Un episodio che per forza di cose si ripercuote sull’immagine del leader del Cremlino, Vladimir Putin: in modo positivo o negativo? Secondo Fabbri, «in questo momento non c’è granché che possa muovere la guerra. Forse neanche una sostituzione di Putin». E questo perché, spiega, «il conflitto è fermo da circa 7 mesi in pochi km quadrati». Anche perché la controffensiva ucraina non sta riuscendo a ottenere i risultati sperati, per molte ragioni: «I russi sono molti di più di un anno fa, hanno minato buona parte del territorio, hanno scavato fossati e trincee, si sono messi in una posizione più difendibile rispetto all’inizio della guerra».

L’Ucraina di Zelensky

Parlare del conflitto in Ucraina obbliga una riflessione anche sul leader della Nazione invasa, Volodymyr Zelensky. Una figura che, spiega Fabbri, si trova in una posizione estremamente complessa: «Trasformarsi da leader di guerra a leader di pace è difficile. Leader più celebri e più celebrati di lui non sono sopravvissuti. Pensiamo a Churchill, che non è sopravvissuto alla pace: è stato respinto a livello elettorale, nonostante in tempo di guerra avesse avuto un ruolo glorioso. Stessa cosa per De Gaulle». «Zelensky tutto ciò lo sa – conclude Fabbri -, e inizia a dare segnali alla repubblica ucraina preparandola all’accettazione di un eventuale compromesso. Che però ad oggi non c’è».

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