Travaglio, ricordo di un Presidente mai amato: sul Fatto la durissima stroncatura di Napolitano

Il direttore del Fatto Quotidiano ripercorre in un editoriale i 70 anni di carriera politica dell’ex capo dello Stato in cui, dice, «non ne ha mai azzeccata una»

Non l’aveva mai amato in vita Giorgio Napolitano, per usare un eufemismo. E non ha cambiato idea di una virgola neppure all’indomani della sua morte. Il direttore de il Fatto Quotidiano Marco Travaglio rompe le righe nei giorni degli omaggi postumi al capo dello Stato che accettò (per primo) il bis ripercorrendo in un lungo editoriale la sua carriera politica, nel corso della quale – sostiene il polemista – Napolitano ha ricoperto tutti i ruoli più importanti della vita pubblica italiana «senza mai azzeccarne una». Una rapida disamina. «Fascista fino alla Liberazione e poi comunista, nel 1956 esalta l’Armata Rossa che soffoca nel sangue la rivolta di Budapest». Anni più tardi, siamo ancora in piena epoca Pci, «partecipa all’espulsione dei dissidenti del Manifesto, critici sull’invasione della Cecoslovacchia. Poi diventa il “comunista preferito” di Kissinger, ma anche della Fininvest. Capo della destra Pci (i “miglioristi”, detti “piglioristi” per le loro arti prensili), fa la guerra a Berlinguer che osa porre la “questione morale” e chiamare Craxi col suo nome: “gangster”». Per Travaglio, è cosa nota, Napolitano ha costituito l’essenza della difesa a priori dei poteri forti contro la varie minacce di scossoni all’ordine costituito. E così la presidenza della Camera, guidata dal 1992 al ’94, fa rima per il direttore del Fatto con il «fiancheggiamento dell’assalto degli impuniti a Mani Pulite» (per aver letto in Aula la lettera del socialista Moroni, suicidatosi perché coinvolto in Tangentopoli). Il primo mandato al Quirinale, invece, con la guerra dichiarata «a tutti i magistrati che indagano sul potere: Woodcock, De Magistris, Robledo, Forleo e i pm di Palermo che hanno scoperto la trattativa Stato-mafia, trascinati alla Consulta perchè intercettando Mancino si sono imbattuti nella sua sacra Voce» (la sua, quanto alla trattativa invece la Cassazione smontò con sentenza definitiva nel 2021 quel teorema assolvendo per non aver commesso il fatto i principali imputati).


La protezione (a tempo) di Berlusconi e i consigli al veleno a Renzi

Imperdonabili, per Travaglio, anche le troppe strizzate d’occhio di Napolitano a Berlusconi: le larghe intese del centrosinistra con lo storico avversario erano per il giornalista una delle sue missioni fondamentali dal Colle. «Al terzo governo B. la dà sempre vinta, firmando tutte le leggi vergogna (tranne il decreto Englaro). E quando il Caimano ne fa una giusta opponendosi all’attacco Nato in Libia, lo costringe a intrupparsi». Si arriva così, nella ricostruzione del Fatto, alla svolta del 2011, l’insediamento del governo-Monti: Napolitano si decide a scaricare Berlusconi “quando lo salva pure dalla sfiducia dei finiani, rinviandola di due mesi e dandogli tempo di comprare i “responsabili”. Lo scaricherà «solo quando lo farà l’establishment nazionale e internazionale», mentre opera attivamente per «scavare trincee contro i 5Stelle che minacciano l’Ancien Régime di cui è santo patrono e imbalsamatore. Va bene ‘sta democrazia; ma, se il popolo non obbedisce, si abolisce il popolo». Dopo il successo del 5 Stelle alle elezioni del 2013, pur di sbarrare la strada a quei potenziali presidenti che «rispetterebbero gli elettori benedicendo un governo di cambiamento M5S-Pd-Sel, briga per il bis». Una volta ottenuto il quale, «crea in laboratorio il governo Letta con i partiti che han perso le elezioni per tener fuori chi le ha vinte». L’ultimo capolavoro di Napolitano, per Travaglio, è la bruciatura in serie di leader del suo partito di riferimento, il Pd: dopo Walter Veltroni, la “vittima collaterale” dei suoi consigli è per il direttore del Fatto Matteo Renzi. Sarebbe stato proprio Napolitano, infatti, a «imporgli la sua vera fissazione: la riforma costituzionale per verticalizzare vieppiù il potere, come chiedono i poteri finanziari italiani e internazionali». L’inizio della fine, se non altro della stagione dei grandi successi politici, per Renzi. Forse di questo almeno Travaglio sarà grato al fu capo dello Stato?


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