La nipote Sofia e il ricordo di nonno Napolitano: «Giocavamo a bocce o a scopa al Quirinale»

I regali, gli incontri con i leader mondiali, i consigli sul futuro e quelli più comuni, sui cartoni animati: il racconto della 26enne e del suo rapporto con il nonno presidente

«Su una cosa non ho dubbi, ed è il tuo successo, la tua affermazione nella vita. Devi avere fiducia in te stessa, almeno quanta ne ho io». È una frase che Sofia May Napolitano ha salvato sul suo cellulare. Gliel’ha detta suo nonno, nel 2018. Il presidente emerito della Repubblica stava raccontando a sua nipote chi fossero le persone che ammirava di più: «Mio padre Giovanni, Giorgio Amendola e l’archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli». La 26enne è diventata un personaggio noto a livello nazionale dopo il discorso tenuto alla Camera per le esequie di Giorgio Napolitano, il 26 settembre. A distanza di pochi giorni, aggiunge ulteriori dettagli del rapporto con l’ex capo dello Stato. Al Corriere, spiega innanzitutto di aver «provato e riprovato» l’intervento fatto in Aula, recitandolo davanti a sua madre e a suo padre. Il giorno della cerimonia, Sofia era rassicurata dalla presenza «di mio fratello, Simone», due anni più piccolo di lei. Tornando alla versione «inedita» di suo nonno, la giovane parla di quella volta che «telefonò a casa» per dirimere una discussione tra lei e il fratello: «Stavamo guardando i Power Rangers e si vedeva male, ma Simone non voleva cambiare canale».


Dalle quisquilie, ai consigli più importanti, sul futuro, sugli studi, sulla politica: «Ne parlavamo senza condizionamenti. Anche quando ci mandava articoli o libri che pensava ci potessero interessare, non era pressante. Per esempio, sapeva che facevo la tesi sull’impatto del linguaggio politico in tema di immigrazione – era il periodo del governo Conte con Salvini – e mi mandava articoli di attualità. Era attento a cosa gli dicevo, mi ascoltava, alla fine gliel’ho dedicata». Sofia afferma di aver scelto la facoltà di Scienze politiche perché, non avendo certezze sul percorso universitario, optò per la politica, «che era stata così importante nella nostra famiglia». Salvo poi specializzarsi in diritto, in Inghilterra, a Bath. «Dal 2010 ci eravamo trasferiti a Ginevra perché la mamma ha avuto un incarico alle Nazioni Unite. I nonni sono venuti alla cerimonia del mio diploma, tornavano dalla Germania dove il nonno aveva ritirato il premio Kissinger e mi ha regalato una copia del suo libro L’Ordine Mondiale. Ma quando ha saputo che andavo da sola a Bath si è preoccupato».


Per timore che la nipote soffrisse di solitudine, Napolitano le telefonava frequentemente: «Mi diceva di essere allegra, di andare a teatro. Era il suo modo di dirmi di divertirmi, ma una diciottenne del ventunesimo secolo magari a teatro non ci va… Una volta tenne un discorso all’Italian Society dell’Università, si fermò a parlare con gli studenti, era curioso dei giovani. Quando era al Quirinale ricevette la mia classe: alcune insegnanti sono venute alla camera ardente». Sofia torna sull’incontro con la Regina Elisabetta, di cui aveva già parlato nel suo discorso al funerale: «Era il 2014, andammo a pranzo, non più di dodici, quindici persone al tavolo. Eravamo seduti vicini: io, lui e la Regina. Il principe Filippo mi chiese che cosa volevo studiare. Io risposi: forse politica e lui mi disse: ripensaci! Un’altra volta mi portò in Cina con lui, nel 2010. Avevo tredici anni, la prima volta in Asia».

L’ex capo dello Stato, infine, non ha fatto mancare durante l’infanzia e l’adolescenza i regali e i giochi ai suoi nipoti: «Mi ricordo di un monopattino. Avevo tre anni e mi portò questo pacco più grande di me. A mio fratello ha regalato un trenino Frecciarossa con il cappello e il fischietto da capotreno veri. Ci regalò il primo telefonino, l’iPhone 3, ma eravamo più grandi. Facevamo dei collegamenti Skype, trovava il modo di chiamare qualcuno di noi ogni sera». A Natale, a Pasqua, durante le festività «eravamo sempre tutti insieme», conclude Sofia. «Le domeniche, prima di andare a Ginevra, ci trovavamo a pranzo con i nonni. Anche quando erano al Quirinale o a Castel Porziano. Si giocava a bocce, a scopa. Da piccoli a nascondino».

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