«Tatuo fiori sulle cicatrici delle donne, e così le aiuto a rinascere»: la storia di Gilberta Vita

Nel suo studio di via Mauro Macchi a Milano accoglie donne reduci da lunghi percorsi, spesso sofferti e dolorosi

Dalle cicatrici possono sbocciare dei fiori: questo è il segno distintivo del lavoro della tatuatrice Gilberta Vita, tatuatrice milanese di 48 anni che nel suo studio di via Mauro Macchi a Milano trasforma le tracce di importanti interventi chirurgici sul corpo delle sue clienti in petali e piante. La sua storia è raccontata nel numero di ottobre di Scarp de’ tenis, un giornale di strada non profit italiano. Ad andare da lei sono prevalentemente donne, che dopo lunghi percorsi, spesso sofferti e dolorosi, hanno voglia di ricominciare. «Qui arrivarono ragazze di trent’anni ma anche donne di quaranta e cinquanta – ha raccontato Vita –. Portano sul corpo segni e cicatrici di interventi chirurgici importanti: la mastectomia senza ricostruzione del seno, la chiusura dell’addome per risolvere la diastasi, operazioni di diversa natura. Oppure persone come Ilaria, che hanno l’alopecia, o donne che hanno sulle braccia e sulle gambe le cicatrici sottili di quando si tagliavano da ragazze. Poi superata quella fase di sofferenza, vogliono trasformare quei segni in qualcosa di diverso».


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L’interazione con i corpi

Il processo si trova a metà tra l’arte e la terapia: Gilberta racconta che prima di iniziare un nuovo lavoro vuole ascoltare le storie di chi ha davanti, e poi osserva il corpo che diventerà la tela. «Voglio capire come si muove, come cammina, se è morbido o spigoloso, e in questo metto in pratica quello che ho imparato dalla scultura (campo in cui si è specializzata presso l’Accademia di Brera, ndr)». Solo dopo arrivano i disegni, dalle mille forme: «Dalle cicatrici scaturiscono rami, foglie e fiori, sempre a colori, e non sono mai disegni che camuffano, che coprono, che nascondono, ma simboli di una trasformazione, di una rinascita e di una ripartenza che integra e rielabora quella cicatrice».

Rifiorire

«Chi viene da me spesso mi dice che non avrebbe mai immaginato di farsi un tatuaggio nella vita – spiega – e quelle sono le persone che preferisco. Ci vuole rispetto per chi si fa lasciare un segno sulla pelle per sempre. Ci vuole rispetto a tatuare. Io non uso stencil e disegno direttamente sul corpo perché solo in questo modo riesco ad ascoltare i corpi e a disegnarli in armonia con loro stessi. Costruisco e modulo i disegni fino a che diventano parte integrante di chi li porterà».

E così si inaugura una rilettura radicale dell’esperienza delle clienti: «Per me non si tratta di donne sfortunate che vogliono nascondere qualcosa di cui si vergognano – prosegue Gilberta Vita –, ma di donne fortunate, perché vive, che tornano a sorridere, fiere del proprio corpo. Nei tatuaggi che portano addosso c’è la poesia della loro vita, la bellezza, l’evoluzione. E quando quei fiori sono finalmente su di loro, è come se ci fossero stati da sempre, perché le piante sul corpo sono perfette, è natura sopra natura». Quando il lavoro è finito e si guardano allo specchio, alcune donne piangono: «Per loro è come rifiorire, ricominciare da zero. Per alcune è la fine di un percorso, per altre è il desiderio di accettarsi di nuovo. Mi è capitato che i mariti mi chiamassero per ringraziarmi, perché vedevano la loro moglie finalmente contenta del proprio corpo».

Foto copertina: @gilbertavita su Instagram

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