In carcere l’animatore accusato di aver stuprato una bimba di 6 anni: spray al peperoncino contro i carabinieri durante l’arresto

Ieri l’uomo era stato denunciato dal padre dopo essere evaso dai domiciliari

È finito in carcere il 33enne di Jesi accusato di abusi su una bambina e denunciato ieri, giovedì 2 novembre, su segnalazione del padre per essere evaso dai domiciliari. Quando i carabinieri si sono recati nella sua abitazione per notificargli il passaggio alla custodia cautelare in carcere, l’uomo ha reagito usando uno spray al peperoncino contro i militari. All’accusa di violenza sessuale si sommano dunque altre due denunce: quella per evasione e quella per resistenza a pubblico ufficiale. Il 33enne marchigiano si trova ora al carcere di Montacuto di Ancona, ma il gip ha chiesto all’autorità penitenziaria di considerare l’opportunità di trasferire l’uomo al carcere di Milano-Bollate, dove è attiva una struttura specializzata nel seguire gli autori di reati sessuali. Un trasferimento richiesto anche dall’avvocato difensore Stefano Migliorelli.


Dai domiciliari al carcere

La decisione di aggravare la misura cautelare, con il passaggio dai domiciliari al carcere, è stata presa dal gip dopo l’interrogatorio di garanzia. Nei giorni scorsi, infatti, il 33enne si era allontanato dall’abitazione di famiglia di Ancona ed è stato denunciato per evasione dai carabinieri, allertati dal padre. Il difensore dell’uomo ha segnalato al gip «l’impellente necessità di cura» del 33enne, ma anche l’«elevata pericolosità sociale» del proprio assistito. Ed è proprio l’insieme di questi elementi ad aver convinto il giudice ad aggravare la misura cautelare. L’uomo, che è già stato condannato dal tribunale di Ancona per un altro episodio di violenza, aveva inviato curricula falsi a varie strutture ricettive. Alla fine iniziò a lavorare in un centro vicino a Perugia, dal quale è stato licenziato subito dopo che il padre della bambina di 6 anni, lì in vacanza, aveva denunciato gli abusi. Nel corso delle indagini, i carabinieri hanno trovato «un numero rilevante» di immagini pedopornografiche nel telefono dell’indagato.


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