Premierato, cosa manca a Renzi per appoggiare la riforma costituzionale del governo Meloni?

Le richieste di modifica di Italia Viva possono incontrare un’apertura della maggioranza, che deve allargare il suo consenso in previsione di un referendum

«Pronti a votare il premierato, se migliorato». Matteo Renzi è l’unico leader di opposizione che ha mostrato un’apertura alla riforma costituzionale del governo Meloni. Tre le richieste di modifica che potrebbe muovere il senatore. Uno, lo scioglimento della Camere subito dopo la caduta del premier eletto. Due, il potere di nomina e di revoca dei ministri affidato al premier. Tre, il secondo turno alle elezioni politiche, introducendo il ballottaggio come avviene per la scelta dei sindaci. La convergenza non è impossibile: il testo di Meloni, che ha come scopo preminente l’elezione diretta del capo del governo, mostra diverse affinità con il disegno di legge costituzionale che Italia Viva ha depositato in Senato, lo scorso agosto. Diverge parecchio, invece, dalla riforma sulla quale il Partito democratico renziano si schiantò nel 2016. Come avvenuto sette anni fa, è improbabile che la maggioranza attuale ottenga i voti dei due terzi dell’Assemblea. Perciò si parla già del valico referendario attraverso il quale dovrà passare la modifica della Costituzione.


La riforma Meloni è più simile al programma del Terzo polo che a quello di Fratelli d’Italia

Secondo alcune fonti di maggioranza consultate da Open, «Renzi dovrà schierarsi a favore della riforma». Due le ragioni a supporto della loro tesi. La prima, di posizionamento politico, è che se Renzi vuole provare a rosicchiare l’elettorato di Forza Italia per collocarsi sempre più vicino al centrodestra, «questa è l’occasione per marcare una cesura definitiva con il mondo del centrosinistra». Il secondo motivo è rintracciabile nelle rivendicazioni che Renzi potrebbe avanzare, in caso di esito referendario positivo. «Non tanto per il paragone con la riforma del 2016, che era molto diversa da questa, ma perché è da inizio legislatura che Renzi parla del cosiddetto “sindaco d’Italia”». Nel 2016, il tentativo di modifica costituzionale partorito da Renzi andava a incidere su svariate istituzioni, dal governo al Quirinale, fino al superamento del bicameralismo perfetto. La riforma di Giorgia Meloni si concentra quasi esclusivamente sul premierato, tradendo tra l’altro il programma con cui si era presentata alle elezioni del 25 settembre 2022: un anno fa, Fratelli d’Italia proponeva di introdurre nell’ordinamento il presidenzialismo. Chi, invece, in campagna elettorale si impegnò per il premierato? «Elezione diretta da parte dei cittadini del presidente del Consiglio sul modello dei sindaci delle città più grandi», si legge nel programma dell’ormai tramontato Terzo polo. Tuttavia, a Renzi non basta che ci sia una solo una certa affinità con le sue precedenti iniziative, parlamentari o di programma: il suo appoggio ci sarà se la maggioranza scenderà a compromessi, rispetto al testo licenziato dal Consiglio dei ministri del 3 novembre. Sono essenzialmente tre le richieste di modifica che dovrebbero arrivare da Italia Viva.


Le tre modifiche che potrebbe proporre Italia Viva

Come primo punto, che si trova anche nell’articolo 1 del disegno di legge presentato da Italia Viva ad agosto, ci sarebbe la questione del potere di scioglimento delle Camere. «In caso di dimissioni, morte o impedimento permanente del presidente del Consiglio, il presidente della Repubblica scioglie le Camere». Un automatismo che relegherebbe il Quirinale al ruolo di mero esecutore di un precetto costituzionale: cade il premier eletto, finisce la legislatura. Su questo aspetto, c’è affinità tra Renzi e Ignazio La Russa, che ha esplicitato il poco gradimento per la “seconda chance” inclusa nella proposta di riforma meloniana: «Se il premier si dimette o viene sfiduciato si deve tornare al voto». Andando incontro alla proposta renziana, tuttavia, Meloni verrebbe meno a quanto dichiarato in conferenza stampa, ovvero di non intaccare i poteri del Colle. Va detto, comunque, che già il testo dell’esecutivo comprime le facoltà del presidente della Repubblica, obbligato a sciogliere le Camere dopo che il secondo esecutivo della legislatura viene sfiduciato. Peraltro, se passasse la linea di Renzi, sarebbe anche inutile conservare l’istituto del semestre bianco.

Il potere di nomina e di revoca dei ministri

Seconda richiesta che potrebbe arrivare dalle file di Italia Viva, anch’essa rintracciabile nel ddl presentato ad agosto, è quella di affidare al presidente del Consiglio il diritto di nominare e revocare i ministri. Possibilità che non dispiace a Forza Italia: il tentativo di Silvio Berlusconi di introdurre il premierato, bocciato dal referendum costituzionale del 2006, lo prevedeva. Assodato ciò, Meloni si troverebbe per una seconda volta costretta a tradire quanto annunciato in conferenza stampa: «Non abbiamo voluto toccare le competenze del presidente della Repubblica, salvo l’incarico al presidente del Consiglio». Terzo aspetto, un intervento sui principi di legge elettorale che entrerebbero in Costituzione. Qui è necessaria una premessa. Sempre nella conferenza stampa post Consiglio dei ministri, Meloni ha detto che i temi che riguardano la formazione della maggioranza e un eventuale ballottaggio per l’elezione del premier saranno affrontati dalla nuova legge elettorale e non dalla riforma costituzionale. Però, nel testo varato da Palazzo Chigi sono presenti delle barriere entro le quali si deve sviluppare la legge elettorale. Come mai?

I principi di legge elettorale

La legge elettorale è una legge ordinaria, cioè basta una maggioranza semplice per cambiarla. La riforma costituzionale di Meloni, incentrata sull’idea di consegnare a massimo due premier della stessa coalizione le chiavi dell’intera legislatura, vuole garantire la governabilità costituzionalizzando un premio di maggioranza, che non potrà essere più cambiato con processo legislativo ordinario. Renzi, allora, potrebbe chiedere di inserire il ballottaggio per la scelta del premier nei dettami costituzionali relativi alla legge elettorale. Anche perché, come successo nel 2017 per l’Italicum, se il ballottaggio fosse introdotto nell’ordinamento tramite una semplice legge ordinaria, la Consulta potrebbe dichiararlo incostituzionale. Quest’ultima richiesta, forse, è la più ostica da far passare: il centrodestra, storicamente, non va bene al ballottaggio, poiché aiuta il centrosinistra spesso diviso a compattare le forze. Ad ogni modo, si tratta di tre possibili proposte alle quali la maggioranza non riserverebbe un “no” aprioristico. Questione di semplice garbo istituzionale? Essere inclusivi nei confronti di almeno una forza di opposizione su un progetto di riforma costituzionale è argomento spendibile, sicuramente, nel corso di una campagna elettorale per il referendum. Consultazione che, se Renzi vedesse accolte le sue richieste, vedrebbe aggiungersi gli elettori di Italia Viva a quelli su cui può contare l’attuale maggioranza.

Leggi anche: