Mentre le cronache di questi giorni hanno visto tornare alla ribalta il tema del suicidio assistito (dopo che Sibilla Barbieri ha scelto di morire in Svizzera) e si sono concentrate sul caso dello stop alle cure vitali per la piccola Indi Gregory, la neonata inglese gravemente malata per una patologia mitocondriale, nel dibattito è intervenuto anche Mario Riccio, Consigliere generale dell’Associazione Luca Coscioni, ex Responsabile di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale di Casalmaggiore. Nonché colui che staccò la spina a Piergiorgio Welby, e che ha seguito il primo suicidio assistito in Italia. Riccio rivendica, in una nota, non solo il diritto di scelta, ma anche la necessità di risposte concrete da parte del Governo.
«L’Italia è il Paese delle vane speranze, noto al mondo per le vicende pseudo sanitarie. Di Bella, Vannoni, Stamina, potevano evitare una nuova ribalta in materia di vane speranze di cura. Per Indi non potrebbe servire neanche l’immediata disponibilità offerta dall’ospedale pediatrico della Capitale dopo che alla piccola è stata riconosciuta la cittadinanza italiana», scrive. E poi, la provocazione: «Ma la vita è comunque un bene? Se sì, Sibilla Barbieri è stata costretta ad andare in Svizzera per trovare la morte che desiderava e che sarebbe stato suo diritto trovare in Italia ma ha incontrato un’insensata resistenza della sanità regionale laziale, nella sua richiesta di suicidio assistito, nonostante abbia dimostrato, forse meglio di tante perizie e controperizie, la sua penosa condizione». «Ma oltre il singolo caso – conclude -, dobbiamo purtroppo ancora una volta sottolineare il silenzio del Governo e l’inerzia del legislatore, già richiamata dalla Consulta in occasione della sentenza dj Fabo-Cappato».
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