Sciopero generale, preavviso, precettazione. Tutti gli elementi dello scontro tra governo e sindacati in vista della mobilitazione di venerdi 17

Per Cgil e Uil, la mobilitazione può essere considerata “generale” e, quindi, vogliono estendere i limiti temporali che la legge imporrebbe a ciascun settore, primo tra tutti quello dei trasporti

Un parere contiguo e quasi concomitante tra commissione di Garanzia, autorità amministrativa competente in materia di scioperi, e il governo, che contro i sindacati ha visto schierato in prima linea il vicepremier Matteo Salvini. Lo sciopero di venerdì 17 novembre, dicono, non può considerarsi uno “sciopero generale”. Mancano alcuni requisiti sui quali, tuttavia, in altre occasioni si è sorvolato. Ed è questo doppiopesismo uno degli elementi che Cgil e Uil usano come scudo per non ridurre gli orari della mobilitazione che coinvolgerà diversi settori, tra cui quello dei trasporti. Nessuna delle due parti cede. La mattina del 14 novembre, il dicastero di Salvini ha inviato una lettera alle sigle sindacali, «invitandole a rivedere la propria posizione, nel rispetto delle regole e del buonsenso». Cgil e Uil non hanno dato seguito alla richiesta. Così, alla nota dello staff leghista ne è seguita un’altra, poco dopo l’ora di pranzo: «I sindacati sono attesi alle 18 al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, alla luce del mancato accordo dopo l’intervento del Garante e della mancata risposta alla lettera ufficiale del dicastero con invito a desistere». Chi la spunterà in questo braccio di ferro?


Cosa dice la legge sugli scioperi dei servizi pubblici essenziali

È l’articolo 40 della Costituzione a sancire che lo sciopero è un diritto e che si «esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano». Tuttavia, dopo l’entrata in vigore della Carta, in Italia c’è stata una lunga vacatio legis sul tema. Si è andati avanti seguendo le sentenze dalla Corte costituzionale, fino al 1990, quando il sesto governo Andreotti emanò un provvedimento per regolamentare le mobilitazioni nei servizi pubblici essenziali. All’epoca furono gli stessi confederali a guardare con interesse alla nuova legge, per fermare i cosiddetti scioperi selvaggi dei sindacati di base. Oggi, quel testo si ritorce contro le motivazioni di Cgil e Uil. Oltre a stabilire quali altri diritti dovessero essere contemperati a quello di sciopero, ad esempio la tutela della salute, dell’igiene pubblica e della protezione civile, i trasporti pubblici, le poste, le telecomunicazioni e l’informazione, la legge introdusse i termini minimi di preavviso e l’obbligo di avviare consultazioni con le istituzioni competenti prima di ricorrere alla mobilitazione. Il provvedimento, infine, costituì la Commissione di garanzia: cinque membri, nominati dai presidenti di Camera e Senato, quindi emanazione della maggioranza. Attualmente, è presieduta da Paola Bellocchi, ordinaria di Diritto del lavoro all’Università di Teramo: il suo incarico è iniziato lo scorso luglio e durerà fino al 2029. Gli altri quattro componenti, anche loro con un mandato di sei anni, sono: Federico Ghera, Peppino Mariano, Paolo Reboani e Luca Tozzi.


Il ruolo della commissione di Garanzia

La Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali – questo il nome completo, abbreviato spesso in Garante – svolge diverse funzioni. Tra le principali, può chiedere di differire la data dell’astensione dal lavoro, può rilevare le violazioni della normativa e segnalarle al governo o ai ministeri competenti per la precettazione. Ancora, la commissione indica «immediatamente ai soggetti interessati eventuali violazioni delle disposizioni relative al preavviso, alla durata massima, all’esperimento delle procedure preventive di raffreddamento e di conciliazione, ai periodi di franchigia, agli intervalli minimi tra successive proclamazioni, e ad ogni altra prescrizione riguardante la fase precedente all’astensione collettiva». Di fatto, il garante non può impedire lo svolgimento di uno sciopero, ma può ricorrere a interventi preventivi o a delibere che poi devono essere impugnate dall’esecutivo per procedere con la precettazione. È ciò che è successo per lo sciopero di venerdì 17 novembre.

Quando uno sciopero può essere definito generale

Il caso è un inedito: da quando è entrata in vigore la legge n.146 del 12 giugno 1990 che disciplina l’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, il Garante non ha mai declassato a illegittima una mobilitazione generale. Ma perché è essenziale la definizione “generale” affinché il prossimo sciopero si svolga nelle modalità che hanno previsto? Secondo la legge di cui sopra, ogni settore che rientra nella categoria dei servizi pubblici essenziali ha delle regole più stringenti da rispettare per astenersi dal lavoro. La principale è quella della durata. Ad esempio, per il trasporto pubblico, vista la concomitanza con altri scioperi, l’astensione non può superare le 4 ore. Si può derogare a questa limitazione solo se lo sciopero diventa generale che, in sintesi, vuol dire che riguarda tutti i settori essenziali. A quello del 17 novembre, ma in realtà è successo anche in passato senza che il garante si opponesse con questa forza, non aderiranno alcune delle principali associazioni del settore dei servizi energetici, tra le altre. Se lo sciopero non viene considerato generale, come sostiene il garante, i lavoratori non potrebbero fermare i treni dalla mezzanotte alle 21 di sera, fatte salve le fasce di garanzia, come invece previsto nella proclamazione per venerdì.

Le motivazioni del garante

La posizione dell’autorità è che si tratta di uno sciopero intersettoriale, non generale, poiché, stando a quanto riportato nella delibera, «circa 16 settori sono esclusi ed è spalmato su 5 giorni». E, altro requisito che sarebbe disatteso, è il fatto che la mobilitazione non sia concentrata in un solo giorno. Gli altri problemi rilevati dal garante riguardano la cosiddetta “rarefazione oggettiva”: vale a dire, l’intervallo di tempo minimo tra la convocazione di due scioperi nello stesso settore non è abbastanza ampio. Il 24 novembre ci sono già altri scioperi previsti: uno per il settore aereo, anche se Cgil e Uil hanno revocato la mobilitazione per quel settore, e uno per il settore della raccolta dei rifiuti. In più, la Usb ha organizzato una mobilitazione dei Vigili del fuoco proprio il 17 novembre: anche su questo settore, Cgil e Uil hanno fatto un passo indietro, limitando la mobilitazione solo nella fascia oraria che va dalle 9 alle 13. Per i restanti settori, cioè trasporti, pubblico impiego, scuola, poste, lavanderie industriali e nettezza urbana, i due sindacati vanno avanti. L’opposizione del garante, per Maurizio Landini, «è un motivo in più per scioperare: dobbiamo difendere questo diritto». Secondo Pierpaolo Bombardieri, «il garante fa una lettura politica del nostro sciopero».

La minaccia della precettazione

Lettera ai sindacati, convocazione e precettazione dei lavoratori: è questo l’iter che il governo o il ministero competente su una categoria in mobilitazione può seguire per limitare gli impatti dello sciopero. La precettazione ventilata da Salvini è un provvedimento amministrativo straordinario che può consentirgli di limitare a quattro ore l’astensione dal lavoro di macchinisti, autisti e altri dipendenti che permettono a bus, tram, metropolitane e treni di viaggiare. Il vicepremier, già lo scorso luglio, ha predisposto il dimezzamento della durata dello sciopero. Per legge, il membro del governo che intende ricorrere alla precettazione deve farlo almeno 48 ore prima dell’inizio della mobilitazione, con una piccola deroga: il ministro competente può intervenire sulla mobilitazione anche senza il margine di tempo previsto se sono in corso tentativi di concertazione con i sindacati. Ma cosa succederebbe se le sigle e i rispettivi lavoratori si rifiutassero di prestare servizio nonostante siano stati precettati? Scatterebbero sanzioni amministrative e pecuniarie a carico sia dei sindacati sia dei singoli manifestanti. Contro il provvedimento governativo le forze sindacali potrebbero presentare ricorso al Tar, ma in attesa del giudizio dovrebbero comunque attenersi all’ordinanza ministeriale. Oppure, appunto, arrivano le sanzioni.

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