È morto a 95 anni il fotografo Elliott Erwitt: gli anni in Italia, gli scatti alle celebrità, l’occhio per l’assurdo

Era considerato uno dei maestri dell’obiettivo al fianco di Robert Capa, Henry Cartier Bresson e Robert Frank

È morto a 95 anni nel sonno, nella sua abitazione a New York, uno degli ultimi maestri della fotografia del Novecento. Elliott Erwitt è considerato al pari di altre leggende come Henry Cartier Bresson, Robert Frank e Robert Capa. Proprio quest’ultimo lo volle all’agenzia di fotografia Magnum nel 1953. Divenne presto uno dei fotografi di punta, grazie allo stile riconoscibile dei suoi scatti, e iniziò a collaborare con alcune delle riviste più importanti dell’epoca come Collier’sLook e Life. Ma la storia di Elliott Erwitt, all’anagrafe Elio Romano inizia a Parigi nel 1928, e prosegue poi in Italia, a Milano, dove si trasferirà la sua famiglia nei primi anni della sua vita. Poi l’arrivo a New York, i primi lavori fotografici e l’assunzione alla Magnum su volontà del suo co-fondatore. Per un breve periodo, negli anni Sessanta, ne divenne anche presidente, e negli anni Settanta si occupò anche di cinema e documentari. Ma la fotografia rimase sempre la sua forma d’espressione artistica preferita. Sono celebri alcuni suoi ritratti delle grandi celebrità del secolo, da Marylin Monroe a Che Guevara, da Humphrey Bogart a Jack Kerouac, da Richard Nixon a Jacqueline Kennedy ai funerali del marito, il presidente statunitense John Fitzgerald Kennedy. Come ricorda il New York Times però, Erwitt ha apposto il suo nome nella storia della fotografia negli scatti della quotidianità, in cui ha saputo catturare l’assurdo e il buffo dei suoi contemporanei. «Per più di sessant’anni ha usato la sua macchina fotografica per raccontare barzellette visive, trovando materiale ovunque andasse. Il suo occhio acuto per le congiunzioni sciocche e talvolta rivelatrici», scrive Richard B. Woodward nel necrologio, «gli è valso incarichi costanti. così come l’affetto di un pubblico che condivideva il suo dolce senso dell’assurdo, alla Chaplin».


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