La geopolitica di Cop28 secondo Dario Fabbri: «Le monarchie del Golfo vogliono solo lavarsi l’anima. Sul clima Cina e Russia distanti» – L’intervista

Secondo il direttore di Domino, la conferenza Onu in corso a Dubai è solo un’occasione in cui «le potenze si raccontano impegnate a salvare l’umanità»

La Cop28 è prima di tutto una conferenza sul clima, ma rappresenta anche un palcoscenico in cui vengono allo scoperto alleanze e tensioni tra i diversi attori internazionali. Con la differenza che, almeno per quanto riguarda le politiche climatiche, gli schieramenti in campo non sono necessariamente quelli che ci si aspetta di vedere. Un esempio? Il rapporto tra Cina e Russia, «che vanno insieme su molti dossier ma sul clima restano lontane», osserva Dario Fabbri. All’analista geopolitico e direttore della rivista Domino abbiamo chiesto quali possono essere i risvolti geopolitici del vertice Onu in corso in questi giorni a Dubai, dal significato che può avere per le monarchie del Golfo alla presenza inedita della Santa Sede ai tavoli dei negoziati.


Con la Cop28 di Dubai, il mondo arabo conferma ancora una volta di voler giocare un ruolo da protagonista negli appuntamenti internazionali. È solo un tentativo di ripulirsi l’immagine o c’è un interesse legittimo per la questione climatica?


«Le monarchie del Golfo sono tra i maggiori esportatori di idrocarburi, che si lavano l’anima ospitando questo genere di congressi. Le Cop sono iniziative senza alcuna cogenza reale. Nel migliore dei casi, sono un momento in cui le potenze possono raccontarsi come impegnate a salvare il mondo, ma non esistono penalità per chi non rispetta gli obiettivi che puntualmente questi congressi fissano. Questo rende le Cop un contesto ideale per i Paesi che esportano idrocarburi. Alcuni, come l’Arabia Saudita, vogliono immaginarsi un futuro che vada oltre questa esportazione e sopravvivere a se stessi. Altri, come Emirati Arabi e Qatar, usano la questione solo per mostrarsi all’avanguardia in nome dell’umanità».

Nei negoziati per il clima si replica la stessa divisione in blocchi dell’attuale ordine mondiale? Oppure c’è spazio anche per alleanze inedite e inaspettate?

«Sul clima le divisioni a livello internazionale sono simili ma non identiche. Ad esempio, Cina e Russia vanno insieme su molti dossier ma non sono vicinissime sulla questione climatica. La Russia a parole dice di considerarla una priorità, ma in Siberia grazie al riscaldamento globale ora si può coltivare il grano. E il Cremlino, in modo non lungimirante, pensa che sia una svolta positiva. L’impegno della Cina su questo fronte è certamente più serio, anche se come tutte le altre potenze non fa davvero abbastanza. Gli Stati Uniti invece sono ondivaghi: sono impegnati sulle coste del loro Paese, ma al centro non si vede la questione climatica come una priorità. Va ricordato che la Cina ha anche molto da guadagnare dalla transizione ecologica, dal momento che è di gran lunga il principale produttore di pannelli fotovoltaici. Attraverso il cambiamento climatico, Pechino spera di trasformarsi nel Paese da cui l’Occidente è costretto a dipendere per la sua energia».

I recenti sviluppi della guerra in Medio Oriente hanno già fatto saltare un accordo sulle rinnovabili tra Israele e Giordania. Che effetti può avere più in generale la guerra tra Israele e Hamas su Cop28?

«È difficile dire che effetti potrà avere questa guerra, ma immagino non decisivi. Questa Cop, come tutte le altre, esiste purtroppo in una dimensione di narrazione molto meno fattuale rispetto a una guerra. Quindi non credo possa avere una grande influenza, se non il fatto di rendere surreale che questa Cop si svolga a così breve distanza dal conflitto».

Nel loro ultimo incontro, Xi Jinping e Joe Biden hanno raggiunto un accordo per intensificare la cooperazione sulle politiche per il clima. Eppure, nessuno dei due sarà presente a Cop28. Come va letta la loro assenza?

«La loro assenza va letta come un semplice fatto: hanno cose più importanti da fare. Purtroppo le grandi potenze non hanno mai preso veramente sul serio le questioni climatiche, al di là delle narrazioni che diffondono. Ai negoziati di Cop28 ci saranno alcuni loro funzionari, quindi sul piano dei fatti non cambia molto. A cambiare semmai è la narrativa che fanno i due Paesi».

L’Unione europea è l’attore internazionale che più spinge per obiettivi ambiziosi e una trasformazione radicale dell’economia. Quanto incide questa posizione sugli equilibri tra Stati Uniti e Cina?

«L’Unione Europea non è un attore internazionale, è composta da nazioni e alcune di queste sono attori internazionali. L’Ue è semplicemente un forum dove le nazioni si incontrano e la sua posizione incide solo relativamente sugli equilibri tra Stati Uniti e Cina. L’Europa, anche in ambito climatico, è un territorio ambito dalle grandi potenze. Un terreno di scontro e anche di guadagno».

Per la prima volta anche la Santa Sede parteciperà alle trattative di una Cop, anche se Papa Francesco è stato costretto a rimanere in Vaticano per motivi di salute. Qual è il valore politico di questa mossa?

«Papa Francesco resta senza dubbio tra gli attori più impegnati sulla questione climatica. Una sua assenza in questo momento per motivi di salute non scalfisce l’impegno che ha dimostrato in questi anni. Possiamo dire che la Santa Sede è l’unica tra le grandi potenze veramente impegnate fino in fondo, e non solo per narrazione, nella questione climatica».

Credits foto: EPA/Martin Divisek | Uno dei padiglioni di Cop28 a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti (30 novembre 2023)

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