Il piano anti clandestini di Meloni, Sunak e Rama: l’idea di altri centri fuori dall’Ue dopo l’Albania. Cosa prevedono gli accordi

In attesa che si esprima la Corte costituzionale albanese, il governo italiano e quello britannico si ritrovano sempre più d’accordo sull’«effetto deterrenza» che possono avere gli hotspot lontani dai proprio confini per frenare gli sbarchi

Dai baci e abbracci ad Atreju per gli ospiti-amici, è poi a palazzo Chigi che Giorgia Meloni mette la cornice sperata alla foto a tre con il premier britannico Rishi Sunak e quello albanese Edi Rama. Sono due gli accordi firmati dalla premier sul tema dell’immigrazione, nell’anno nero degli sbarchi in Europa, soprattutto attraverso Lampedusa, e con le elezioni Europee alle porte. Proprio sul caso di Lampedusa, ricorda Il Messaggero, Sunak ha rilanciato la sua idea di centri esterni di accoglienza e rimpatrio, anche dopo la bocciatura dell’accordo britannico col Ruanda: «Dobbiamo interrompere il modello di business delle gang criminali, decidere noi, non loro, chi entra nel nostro Paese. E se questo ci richiederà di aggiornare le nostre leggi e di avere conversazioni a livello internazionale per creare un framework sull’asilo politico dobbiamo farlo. Dobbiamo applicare il radicalismo al tema dell’immigrazione illegale e non mettere la testa sotto la sabbia. Andate a Lampedusa, dove il 50% degli immigrati è arrivata quest’anno: non è più sostenibile, non è corretto ed è immorale».


Fondi da Roma e Londra per i rimpatri dalla Tunisia

Con il leader conservatore britannico, Meloni ha ribadito la strada già anticipata lo scorso 27 aprile a Londra, quando l’intesa sulle politiche migratore aveva provato a dare un primo segnale al resto dei Paesi europei. Ieri a palazzo Chigi, Sunak e Meloni hanno concordato il co-findanziamento di «un primo progetto italo-britannico di rimpatri volontari assistiti nei paesi di origine – spiega la nota del governo – predisposto dall’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni), a favore di migranti bloccati in Tunisia». Londra e Roma quindi si impegnano a sostenere economicamente i rimpatri dalla Tunisia di quelle migliaia di migranti che non possono entrare in Europa.


Il patto a tre contro i trafficanti di esseri umani

Altra novità è stato il patto a tre, con l’aggiunta di Edi Rama, leader albanese socialista, ma che con Meloni e Sunak condivide l’approccio pragmatico contro la migrazione clandestina. L’intesa tra Roma, Londra e Tiratana prevede di «intensificare ulteriormente la collaborazione fra i tre Paesi nel contrasto ai trafficanti di esseri umani». Anche con Rama si sarebbe discusso di un piano per sbloccare i rimpatri, che preveda anche il coinvolgimento della Libia. Con il leader albanese, Roma ha già il suo accordo per la creazione di due centri di accoglienza fuori dall’Italia. Piano su cui la Corte costituzionale albanese è stata chiamata a esprimersi. Rama non ha dubbi: quel piano non viola la Costituzione. Ma i tempi rischiano di allungarsi.

L’«effetto deterrenza» dei centri fuori dall’Ue

Al netto delle rassicurazioni del premier albanese, dal governo emerge l’idea di replicare l’accordo albanese anche altrove. Lo accenna il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari: «Sicuramente l’Albania non è l’unica strada». L’obiettivo è provare a invertire il trend in risalita degli sbarchi sulle coste europee, italiane in particolare. E l’idea su cui nel governo ci sarebbe maggiore convinzione, riporta il Corriere, è quella di ricalcare il modello dell’accordo albanese ovunque ci sia disponibilità, piazzando quindi gli hotspot fuori dall’Ue. Una sorta di «effetto deterrenza», che non potrà fare a meno dell’aiuto dei Paesi coinvolti per i rimpatri, vedi la Tunisia, con cui non è facile trattare. Ma «se li aiutiamo nelle politiche di rimpatrio – assicura Fazzolari – i Paesi del Nordafrica diventano più collaborativi».

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