Si chiama Orlando Leone Carullo il primo figlio dell'attrice. Con il suo compagno aveva deciso di non sapere il sesso del nascituro fino al suo arrivo
È diventata mamma l’attrice Miriam Leone, che ha annunciato sui social la nascita del piccolo Orlando Leone Carullo. «Amore infinito, grazie alla vita – scrive l’attrice nel post – a mio marito Paolo, alla nostra famiglia, al Dott. Bulfoni, Stefania Del Duca e tutta la squadra delle ostetriche, al dottor Ciralli e tutto il personale meraviglioso dell’Humanitas… siamo felicissimi». L’attrice, 38 anni, è sposata da due anni con il manager e musicista Paolo Carullo. Il loro primo figlio è nato il 29 dicembre, come riporta il braccialetto applicato in ospedale.
Nessun gender reveal party
Per tutta la durata della gravidanza, l’attrice e il suo compagno avevano deciso di non voler sapere il sesso del nascituro. Nessun gender reveal party per l’attrice quindi. Di recente, lei stessa aveva raccontato: «Non sappiamo il sesso del bebè , lo vedremo quando arriverà. Io no do nulla per scontato. Il fatto che questa personcina sia arrivata così mi sembra un dono. Mi sento molto fortunata per questo».
«Not on track», non sulla buona strada. È questo il giudizio dell’Agenzia internazionale dell’energia sugli sforzi compiuti finora da governi e aziende per ridurre le emissioni del trasporto aereo. Nel 2022, l’aviazione si è resa responsabile di circa il 2,8% delle emissioni globali di CO2. Una cifra che potrebbe sembrare tutto sommato trascurabile, eppure non è così. La lotta ai cambiamenti climatici passa necessariamente per una riconversione di tutti i settori dell’economia. E la mobilità non è certo esclusa, anzi. «Se l’aeronautico occupa solo il 3% delle emissioni, perché ci agitiamo tanto?», si chiede Marcello Amato, dirigente del Cira, il Centro italiano di ricerche aerospaziali. «La verità – spiega – è che i trasporti terrestri si trasformeranno molto più velocemente di quelli aerei. Di conseguenza, quello che oggi rappresenta il 3% diventerà il 10, 15 e forse il 20%. Se restiamo fermi, diventeremo i maggiori inquinatori del mondo».
2023: l’anno record del trasporto aereo
Nel 2019, il settore dell’aviazione ha emesso oltre 1.000 mega tonnellate di anidride carbonica nell’atmosfera. Dopo un breve calo registrato negli anni della pandemia, dal 2022 le emissioni climalteranti del trasporto aereo sono tornate a crescere, così come il numero totale dei passeggeri. Secondo alcune stime, il 2023 si chiuderà con circa 4,7 miliardi di persone trasportate (il dato più alto di sempre) e gli esperti concordano sul fatto che questo numero continuerà a salire anche nei prossimi anni. Sul lungo termine, però, gli obiettivi ambientali restano ambiziosi. A fine 2022, i Paesi dell’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile – l’agenzia Onu che si occupa di trasporto aereo – hanno fissato l’obiettivo di arrivare alle zero emissioni nette entro il 2050. Ma c’è un elemento che rischia di rovinare i piani: a differenza di altri settori, non esistono tecnologie in grado di azzerare già oggi le emissioni prodotte in volo. Con ogni probabilità, il futuro del trasporto aereo passerà dunque da un mix di tre diverse tecnologie: aerei elettrici, aerei a idrogeno e carburanti sostenibili.
Al momento, la propulsione elettrica è limitata ad aerei molto piccoli e a corto raggio. Per queste tratte, l’industria si aspetta di arrivare al 2035 con voli alimentati esclusivamente a batterie fuel-cell, come già avviene per le automobili. Il vantaggio degli aerei elettrici è che non producono emissioni dirette, sono poco rumorosi e hanno costi di manutenzione molto inferiori rispetto ai velivoli tradizionali. Il problema, semmai, riguarda la densità energetica e il peso delle batterie. Per i voli regionali, che trasportano fino a 100 passeggeri, si parla infatti di aerei ibridi, ossia con due motori – uno elettrico e uno a combustione – che collaborano tra loro. Per gli aerei di taglia più grossa entrano in gioco i cosiddetti SAF, un acronimo che sta per Sustainable Aviation Fuels. Si tratta di carburanti che vengono prodotti senza l’utilizzo di materie prime fossili, come petrolio o gas naturale.
Questa famiglia di carburanti viene già impiegata in molti voli commerciali, miscelata con i carburanti tradizionali e in percentuali ancora ridotte. L’obiettivo, sul medio termine, è di sostituire i SAF con aerei a idrogeno. Diverse aziende hanno fatto esperimenti con motori di grandi dimensioni, ma restano ancora alcuni nodi da sciogliere. «Di recente la Rolls Royce ha fatto alcuni test in Germania: in una settimana di prove hanno consumato la metà della disponibilità di idrogeno di tutto il Paese», racconta Marcello Amato. L’altro problema è di tipo infrastrutturale: per alimentare gli aerei a idrogeno servirà infatti dotare gli aeroporti di strutture per il trasporto e lo stoccaggio di questo vettore energetico. «La vera sfida per il futuro sarà riuscire a gestire un sistema che non fa più affidamento su una sola tecnologia, ma che sarà inevitabilmente più complesso e variegato», precisa il dirigente del Cira, che nella sede di Capua (Caserta) svolge diverse attività di ricerca proprio sulla sostenibilità del settore dell’aviazione. A livello internazionale, è Airbus ad aver fissato l’asticella più in alto di tutti sugli aerei a idrogeno. L’azienda europea punta infatti a far volare i primi aerei sperimentali nel 2027.
I dubbi sui SAF
In attesa che i primi velivoli elettrici e a idrogeno vengano perfezionati, il comparto aereo sta cercando di ridurre le proprie emissioni in altri modi, per esempio elettrificando i mezzi a terra negli aeroporti e facendo ricorso ai SAF. Proprio questi ultimi vengono visti molto positivamente dalle compagnie aeree, perché possono essere impiegati sui velivoli già esistenti senza troppe difficoltà. Sono in molti però a mettere in dubbio il fatto che questi carburanti possano davvero essere definiti sostenibili. Al momento, i SAF rappresentano meno dello 0,1% dei carburanti utilizzati per l’aviazione e per rispondere alle esigenze del settore sarebbero necessarie enormi quantità di terreno. Tra le piantagioni più indicate per produrre carburanti non fossili viene spesso citata la canna da zucchero. Uno studio pubblicato quest’anno su Science Direct stima che per convertire il settore dei voli di linea ai SAF sarebbero necessari 1,25 milioni di chilometri quadrati di piantagioni, circa quattro volte la superficie dell’Italia.
La strategia europea e i sussidi americani
L’obiettivo fissato in sede Onu è il raggiungimento delle zero emissioni nette entro il 2050. Per arrivarci, i Paesi si stanno muovendo in ordine sparso. Con l’approvazione dell’Inflation Reduction Act, nel 2022 gli Stati Uniti hanno introdotto sovvenzioni e crediti di imposta per oltre 3 miliardi di dollari per stimolare la produzione e il consumo di carburanti sostenibili per l’aviazione. L’obiettivo è di produrne 3 miliardi di galloni all’anno entro il 2030 e 35 miliardi di galloni all’anno entro il 2050. Anche il Regno Unito si è dato un obiettivo piuttosto ambizioso, con la strategia Jet Zero che prevede di arrivare alle zero emissioni nette già nel 2040. Lo scorso novembre, la compagnia britannica Virgin Atlantic ha fatto decollare il primo volo transatlantico alimentato interamente da carburante sostenibile. L’Unione Europea ha da poco approvato un nuovo regolamento che prevede l’impiego di almeno il 6% di SAF negli aeroporti europei entro il 2030 e il 70% entro il 2050. Il programma europeo per decarbonizzare il trasporto aereo è stato ribattezzato Clean Aviation e al momento prevede investimenti per oltre 4 miliardi di euro, di cui 1,7 stanziati dalle istituzioni Ue e i restanti dalle aziende del settore. «La ricerca è costosa e richiede investimenti, ma quello europeo è un progetto assolutamente concreto e fattibile – commenta Antonio Blandini, presidente del Cira -. In Italia i principali leader di mercato, a partire da Leonardo e Avio Aero, si stanno muovendo molto».
Le soluzioni alternative
A prescindere da quale sia la strada migliore per arrivare alle emissioni zero, resta il fatto che con le tecnologie attuali sembra improbabile che il trasporto aereo possa davvero diventare sostenibile in tempi brevi. È per questo che alcuni esperti suggeriscono un’altra soluzione: ridurre la domanda. La Francia, per esempio, ha vietato i voli a corto raggio verso destinazioni facilmente raggiungibili in treno, mentre l’Agenzia internazionale per l’energia propone una strada più cinica e chiede alle compagnie aeree di scaricare (almeno in parte) sui consumatori i costi dei progetti di ricerca. Aumentando i prezzi dei voli, la domanda calerebbe e le aziende potrebbero usare le maggiori entrate per finanziare le tecnologie più promettenti e accelerare la riconversione del settore. In questo modo, però, si rischierebbe di trasformare il trasporto aereo in un servizio esclusivo e alla portata di pochi. «La sostenibilità costa – spiega Blandini -. La sfida non consiste solo nel raggiungere gli obiettivi, ma anche nel raggiungerli in una condizione di economicità. Ce la stiamo mettendo tutta».
Foto di copertina: EPA/Caroline Brehman | Un aereo di Asiana Airlines atterra all’aeroporto di Los Angeles (1 dicembre 2023)