Zucchero: «Amavo mia moglie, ma mi ha massacrato. La depressione? Volevo farmi fuori, stavo malissimo»

Il musicista nato a Ronocesi (Reggio Emilia) si racconta in una lunga intervista al “Corriere della Sera”

Il cantautore Zucchero Fornaciari, pseudonimo di Adelmo Fornaciari, si racconta in una lunga intervista di Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera. Nato a Roncocesi (Reggio Emilia) da Giuseppe e Rina entrambi «mezzadri – racconta – sotto padrone» il musicista scelse il suo lo pseudonimo in quanto era il soprannome datogli da una maestra delle elementari. «Introverso, sempre all’ultimo banco, non parlavo mai; anche se con qualche compagno siamo amici ancora adesso», afferma. A 9 anni l’incontro con la musica: «Avevamo già un gruppetto – dice -, provavamo in canonica la domenica pomeriggio con il permesso del prete. Facevo il chierichetto, in cambio mi lasciava suonare l’organo». Eppure, i primi testi ha cominciato a «scriverli per reazione». La sua casa discografica «mi mise accanto Mogol. A Sanremo però non portai un suo brano ma quello di Alberto Salerno, Donne», spiega.


«È stato un grande amore. Ed è stato un inferno»

Poi il ricordo della sua ex moglie Angela Figliè e della loro (burrascosa) storia d’amore: «Mi ha massacrato», confida. Ma a suo modo «è stata fonte di ispirazione – continua -. Ora vorrebbe i diritti di autore. È stato un grande amore. Ed è stato un inferno», afferma. A colpire Zucchero all’epoca dell’incontro con la madre delle sue figlie più grandi fu «la malinconia dei suoi occhi. Non sono mai riuscito a capirla, neanche adesso. Impenetrabile. Durissima. Mi sono sposato a 23 anni, lei era ancora più giovane. Mi aveva lasciato il giorno prima che partissi per il Forte Village, in Sardegna, dove dovevo suonare per un mese. Le telefonavo e non rispondeva mai. Al ritorno con la 128 scassata di mio padre andai ad aspettarla fuori dal negozio dove lavorava, e le chiesi di sposarmi. Lei rispose di sì. Fino a quando una notte mi disse: “Ti lascio, non ti amo più”. Ma non so se mi abbia mai amato davvero, di sicuro “ti amo” non me l’ha mai detto, e neanche “ti voglio bene”. Mai. E la mia presunzione era farla sorridere, renderla felice», racconta il cantante che aggiunge: «Volevo prenderle una casa vicino a sua madre, e mi indebitai di 500 milioni. Così scivolai nella depressione. Non sapevo dove prendere il denaro, dovevo pagare 50 milioni ogni sei mesi; la prima rata me l’aveva garantita un impresario, in cambio di una tournée al Sud. Vado a Roma a ritirare i soldi, e mi dice che non ci sono. Mancano quattro giorni alla scadenza, se non pago ci portano via la casa. E nel frattempo era arrivata la seconda figlia».


La depressione

«Ero davvero depresso. Leggevo Bukowski perché almeno lui stava peggio di me. Scrivo Miserere e penso che per cantarla ci vuole un tenore», ovvero Pavarotti, sottolinea Zucchero. «Telefono a Pavarotti a casa a Modena, e mi risponde sua figlia, che è una mia fan. Così Luciano mi fa, con la voce impostata: “Ciccio, sei bravo, ti seguo, vieni domani a casa mia, che pranziamo e giochiamo a briscola!”», racconta. Poi l’incontro: «Io preparo tre musicassette di Miserere, cantata da Bocelli. Era febbraio, c’era il camino acceso. Verso le 4 tento il colpo, ma Pavarotti mi dice che non può. E io: “questa canzone la puoi cantare solo tu; se non vuoi cantarla, io la brucio. E la butto nel caminetto”. Luciano ci rimane malissimo, così accetta. Mi mostra l’agenda e nell’unico giorno dell’anno rimasto libero, il 19 agosto, segna a matita: Zucchero. Pavarotti&Friends, tutto il lato pop di Luciano, iniziò così».

Nonostante i successi, la depressione era ancora presente: «Volevo farmi fuori. Stavo malissimo. Attacchi di panico fortissimi, cose che non auguro a nessuno. Prendevo il Prozac ma non sentivo più niente. Dopo “Oro incenso e birra” mi chiamarono prima al Freddie Mercury Tribute, poi Sting, insomma mi sono capitate cose bellissime, ma non me le sono godute. Ero al massimo del successo e non volevo più salire sul palco, non volevo fare la tournée di Miserere: sedici concerti negli stadi», racconta il musicista che confida, inoltre, di essere stato «l’unico rocker ad andare in tournée con lo psichiatra al seguito. Mi dissero: “Lui ti da la pasticca, e tu suoni”. Se no? “Se no ti ricoveriamo all’ospedale psichiatrico di Pisa, e devi restarci un mese, perché se annulliamo la tournée faranno i controlli”», conclude.

Foto copertina: ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

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