Quelle borse non sono copiate da Valentino, la rivincita in tribunale di Primadonna: l’accusa su due modelli

La causa partita nel 2022 sulle minibag con borchie, giudicate dalla nota casa di moda troppo simili alle proprie

Le borse dell’azienda pugliese Primadonna non sono state copiate da quelle di Valentino: lo ha stabilito giudice Giuseppe Battista, archiviando la posizione del patron Vittorio Tatarella (assistito dagli avvocati Pino Giulitto e Federica Santonocito, con il supporto dell’avvocata Valeria Carella dell’ufficio legale dell’azienda). Le accuse, risolte con un’archiviazione e la restituzione dei pezzi sequestrati nel 2022, ruotavano attorno al reato di fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale. Le minibag contestate erano 5mila, immesse negli store e online, giudicate troppo simili ai famosi articoli griffati Valentino.


L’indagine

La vicenda giudiziaria ha preso il via dopo la denuncia della casa di moda romana, che sosteneva come in alcuni punti vendita Primadonna in Lombardia «erano esposti esemplari di borse costituenti riproduzione identica e non autorizzata di due modelli registrati presso l’Ufficio italiano Marchi e brevetti, di proprietà esclusiva della Valentino spa». Secondo il consulente della procura, i dettagli delle borse Primadonna richiamavano inconfondibilmente quelli di Valentino: la forma rettangolare, le borchie appuntite e la distanza alla quale erano disposte erano alla base dell’accusa. Il sequestro probatorio delle borse avvenne nel 2022, al fine di effettuare tutte le verifiche del caso. Durante le indagini, i difensori di Tatarella hanno inoltre chiarito come le famose borchie fossero state utilizzate da Tatarella dopo che, nell’ottobre 2018, era stato firmato un accordo transattivo con la società di Garavani. Alcuni particolari, inoltre, distinguevano i prodotti della società bitontina da quelli della nota maison, impedendo così che venissero confuse.


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