La lotta (a colpi di Tar) dei docenti che si prendono l’abilitazione in Romania per insegnare in Italia. Cosa dicono le sentenze che sfidano Valditara

Decine coloro che dopo aver presentato la richiesta del riconoscimento dei titoli non hanno mai ricevuto riscontro dal Miur. Ora i giudici danno loro ragione

Si prendono una prima rivincita tutti quei docenti che hanno conseguito l’abilitazione all’insegnamento in Romania per poi provare a insegnare in Italia, sfidando i dubbi e le inerzie che il ministero dell’Istruzione ha sempre avuto sul tema. Il Tar del Lazio ha accolto numerosi ricorsi di docenti che, dopo aver fatto richiesta al dicastero di Valditara per il riconoscimento del titolo e poter quindi esercitare la professione nel nostro Paese, non hanno mai ricevuto alcuna risposta. Un silenzio andato oltre i limiti di legge, che impongono al ministero un tempo massimo di 120 giorni per rispondere, e che ha spinto molti a passare per vie legali. Gran parte di loro sono stati assistiti da uno studio legale di Frosinone dove operano gli avvocati Antonio Rosario Bongarzone e Paolo Zinzi.


I casi e le sentenze del Tar

È il caso di docenti come Vito Bonanno, che ha conseguito l’abilitazione in Romania e ha presentato domanda online nell’aprile 2023, senza mai ricevere riscontro. Dopo mesi di attesa, ha fatto ricorso e nel dicembre dello stesso anno, il Tar del Lazio gli ha dato ragione riconoscendo che «la pubblica amministrazione è rimasta inerte rispetto all’obbligo di provvedere alla richiesta formulata dalla parte ricorrente», e imponendo l’obbligo di emettere una decisione in merito. Simile il caso di Giacomo Schifano, che ha richiesto il riconoscimento del titolo di sostegno ottenuto in Romania a marzo dell’anno precedente e ha ottenuto ragione contro il Ministero lo scorso novembre. Sulla stessa scia anche Simona Lucia Imprescia che ha presentato domanda per il titolo di formazione professionale conseguito presso l’Università Spiru Hatet di Bucarest per poter insegnare nelle scuole medie e superiori. Questi sono solo alcuni esempi di una problematica che si protrae da anni e vede coinvolti centinaia di aspiranti docenti. Ma ora, dopo le sentenze dei giudici, il Ministero è tenuto a rispondere entro 120 giorni a tutte queste richieste pendenti, che si inseriscono in un contesto politico che ha radici negli anni passati.


Cosa c’è dietro il fenomeno degli abilitati in Romania

Per comprendere il fenomeno bisogna, infatti, fare un passo indietro. In Italia, per puntare alla cattedra non basta solo la laurea, ma è necessario avere l’abilitazione all’insegnamento. Che può essere conseguita con percorsi specifici sia in Italia che all’estero. Se si sceglie quest’ultima opzione è necessario passare per una valutazione dei titoli da parte del Mim. Tuttavia, i laureati italiani che pagano percorsi all’estero sono diventati un vero e proprio fenomeno negli anni. E le università rumene sono diventate una delle mete più scelte dagli studenti che decidono di avviarsi per la strada dell’insegnamento. I motivi sono molteplici. I costi sono più contenuti rispetto ad altri Paesi (per quanto comunque resti un percorso costoso) e spesso i tempi sono più rapidi. In Romania, infatti, per ottenere l’abilitazione non sono richiesti una serie di crediti CFU che sono, invece, previsti in Italia. E, una volta che il Ministero riconosce il titolo, si viene inseriti direttamente nelle graduatorie per diventare insegnanti senza dover superare le prove dei concorsi scuola.

Burocrazia troppo lunga e governi indecisi

Il fenomeno nasce anche dalla lunga burocrazia italiana e da un quadro normativo del settore in continuo mutamento. Il nostro Paese soffre della mancanza di percorsi formativi abilitanti banditi con regolarità. E questa discontinuità è stata determinata soprattutto dai cambiamenti attuati nel corso degli anni dai vari governi che si sono succeduti. In parallelo a questo, per molto tempo, il Ministero dell’Istruzione ha bloccato in modo massivo le richieste di riconoscimento di titoli conseguiti in Paesi come la Romania. Tuttavia, un anno fa, a gennaio 2023, il Consiglio di Stato ha emesso una sentenza – richiamando una direttiva dell’Unione europea (2005/36/CE) – in cui sancisce che il Ministero non può più negare automaticamente il riconoscimento di determinati titoli, ma deve valutare caso per caso se le competenze attestate nella qualifica rilasciata da un altro Paese soddisfino, almeno in parte, i requisiti per insegnare in Italia.

Le conseguenze

Il tutto ha generato, però, un sovraccarico non indifferente agli uffici del Ministero. Si tratta, infatti, di un passaggio che prevede la costituzione di apposite commissioni e la possibile attivazione di percorsi compensativi integrativi delle competenze richieste in Italia per i docenti interessati. E le recenti sentenze del Tar evidenziano chiaramente le difficoltà delle amministrazioni del Mim nell’affrontare i casi in modo tempestivo o eventuali riserve da parte dello stesso sui titoli in questione. Ma i docenti coinvolti, non intendendo aspettare passivamente, hanno iniziato a fare pressione sul Ministero e la legge (per il momento) sembra essere dalla loro parte.

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