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Ritorno al nucleare, nel 2024 l’Ue è a un bivio: le promesse dell’energia atomica alla prova delle Europee

07 Gennaio 2024 - 16:43 Gianluca Brambilla
Nell'ultimo anno l'energia atomica è tornata ad accreditarsi agli occhi dei cittadini, ma tra gli esperti restano molti dubbi

Quando si parla di transizione energetica, non c’è tema più divisivo del nucleare. Per alcuni, l’energia atomica è indispensabile per raggiungere gli obiettivi di emissioni zero e contrastare i cambiamenti climatici. Per altri, si tratta di una tecnologia obsoleta e troppo costosa, che non regge il confronto con le rinnovabili. Per certi versi, il 2023 è stato l’anno in cui il nucleare è tornato a prendersi la scena. Lo scorso dicembre, è stato menzionato per la prima volta in modo esplicito nel documento finale della Cop28 di Dubai e un gruppo di 20 paesi ha firmato un patto per «triplicare le capacità energetiche nucleari nel mondo entro il 2050». Poche settimane più tardi, l’Unione Europea ha inserito l’energia atomica tra le tecnologie considerate «strategiche» per raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni nette entro il 2050. Non solo: la Commissione ha annunciato che proprio nei primi mesi del 2024 nascerà «un’alleanza industriale per i piccoli reattori modulari», su cui anche il governo italiano ha dimostrato un certo interesse. Se nel 2023 il nucleare è tornato di moda, il 2024 sarà l’anno della sua (nuova) consacrazione? «Bisogna distinguere le chiacchiere dagli investimenti veri e propri», avverte Luca Iacoboni, esperto di energia e decarbonizzazione del think tank ECCO. «Di sicuro – aggiunge – a livello di dibattito è tornato di moda e anche alle Europee di giugno sarà un tema centrale e polarizzante della campagna elettorale».

Il nucleare in Europa

EPA/Julien Warnand | La centrale nucleare di Cattenom, in Francia

Nel 2021, un quarto dell’energia prodotta nei paesi dell’Unione Europea è arrivata proprio dal nucleare. Se si considera invece l’energia consumata, che tiene conto quindi anche delle importazioni dall’estero, la percentuale scende al 13%. Complessivamente, negli ultimi anni il nucleare ha svolto un ruolo via via più marginale in Europa. Nel 2004, la produzione delle centrali europee ha raggiunto il picco massimo di 900 terawattora, mentre nel 2021 la produzione si è fermata a 731 terawattora. Al momento, solo 12 dei 27 paesi Ue producono energia nucleare: Francia (56 reattori), Spagna (7), Svezia (6), Repubblica Ceca (6), Belgio (5), Finlandia (5), Slovacchia (5), Ungheria (4), Bulgaria (2), Romania (2), Paesi Bassi (1) e Slovenia (1).

Favorevoli e contrari

Negli ultimi anni, i paesi europei si sono mossi in ordine sparso sul tema dell’energia nucleare. Lo scorso aprile, la Germania ha spento i suoi ultimi tre reattori, completando il phase-out dell’energia atomica deciso dall’ex cancelliera Angela Merkel. Pochi giorni fa, anche la Spagna di Pedro Sánchez ha confermato che seguirà la stessa strada, annunciando che entro il 2035 tutte le centrali nucleari saranno chiuse. Fino a pochi anni fa, anche il Belgio e la Svizzera si stavano preparando a smantellare i propri impianti, ma la crisi del gas innescata dall’invasione russa in Ucraina ha costretto i governi a rivedere i propri piani. Tra i favorevoli al nucleare, invece, è la Francia a fare la parte del leone. Il paese guidato da Emmanuel Macron possiede 56 dei 100 reattori attivi nell’Unione europea e ricava dal nucleare il 41% dell’energia che consuma. A puntare sull’energia atomica è anche la Finlandia, dove lo scorso aprile è entrato in attività il reattore nucleare più grande (e più nuovo) del continente. Al momento ne risultano in costruzione altri due: uno in Francia e uno in Slovacchia. Anche la Polonia guarda con un certo interesse all’energia atomica. Nel 2022, il paese ha prodotto oltre il 40% della propria energia con il carbone, il più inquinante dei combustibili fossili, ma progetta di iniziare la costruzione della sua prima centrale nucleare nel 2026, così da poter produrre energia a partire dal 2033.

Le tentazioni dell’Italia

E l’Italia? Nella seconda metà del secolo scorso, il nostro paese era considerato uno dei pionieri del nucleare civile e poteva contare su quattro centrali: a Trino (Vercelli), Caorso (Piacenza), Sessa Aurunca (Caserta) e Latina. In seguito all’incidente di Chernobyl del 1986, fu indetto un referendum che portò alla chiusura di tutti gli impianti e allo smantellamento del programma nucleare del governo. Un nuovo tentativo di riportare l’energia atomica in Italia arrivò dal governo di Silvio Berlusconi. Anche in questo caso, gli italiani si opposero al ritorno del nucleare con un referendum abrogativo appoggiato a larghissima maggioranza. Dopo quasi dieci anni di sostanziale silenzio sul tema, negli ultimi tempi il dibattito sull’energia nucleare si è ravvivato anche in Italia, con diversi esponenti del governo Meloni che si sono detti aperti a reinserire l’atomo nel mix energetico italiano. Lo scorso maggio, il parlamento ha approvato una mozione che impegna il governo a «valutare in quali territori al di fuori dell’Italia la produzione di energia nucleare possa soddisfare il fabbisogno nazionale di energia». A settembre, poi, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto ha lanciato la Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile.

Al termine del percorso – che coinvolge istituzioni, aziende ed esperti del settore – l’esecutivo dovrà tirare le fila e presentare la propria strategia su come intende procedere. Stando ad alcune dichiarazioni fatte dal ministro, il governo starebbe pensando non alla costruzione di centrali vere e proprie, ma a piccoli reattori modulari da mettere a disposizione delle aziende energivore. In un eventuale ritorno dell’energia nucleare in Italia, dunque, lo Stato si limiterebbe a stabilire il quadro normativo e non sarebbe impegnato in prima persona nella realizzazione degli impianti. «C’è differenza tra il nucleare esistente e quello di nuova costruzione. Per un paese che deve partire da zero, come l’Italia, la decarbonizzazione non può poggiare su tecnologie che ancora non esistono», sostiene Iacoboni. Secondo l’esperto di energia del think tank ECCO, il nucleare ha costi e tempi di realizzazione incompatibili con l’urgenza della crisi climatica e rischia di sottrarre investimenti necessari altrove: «Ci sono tecnologie già pronte: rinnovabili, sistemi di accumulo, infrastrutture di rete, efficienza energetica. È qui che dovremmo concentrarci».

Le spinte interne all’Ue

EPA/Stephanie Lecocq | Un flash mob con le maschere di Ursula von der Leyen, Olaf Scholz ed Emmanuel Macron per protestare contro la decisione di inserire gas e nucleare nella «tassonomia green» dell’Unione Europea (Bruxelles, 2 febbraio 2022)

Una spinta decisiva al ritorno di moda del nucleare è arrivata recentemente anche dalle stesse istituzioni europee. Nel 2022, l’energia atomica e il gas sono entrate ufficialmente nella tassonomia Ue delle fonti “green”. Una decisione molto contestata e a cui ha fatto seguito, lo scorso dicembre, l’inclusione del nucleare tra le tecnologie su cui Bruxelles punterà per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Questi provvedimenti sono anche una conseguenza delle crescenti pressioni interne che Bruxelles riceve dalla «Alleanza Ue a favore dal nucleare», capitanata dalla Francia. I 14 paesi che fanno parte di questo gruppo si incontrano a cadenza periodica per discutere della propria strategia, con l’Italia che resta alla finestra. Agli ultimi incontri, infatti, il nostro paese ha partecipato in qualità di osservatore. Nei primi mesi dell’anno, la Commissione Europea dovrebbe lanciare un’altra alleanza: quella sui piccoli reattori modulari (Smr), che rientrano nel nucleare «di nuova generazione» e potrebbero vedere la luce intorno al 2030. Su questo settore l’Italia intende giocare un ruolo di primo piano e può contare su due delle cinque principali aziende europee che fanno ricerca sugli Smr: Ansaldo Nucleare ed Enea.

Il nodo delle Europee

La consacrazione definitiva del ritorno del nucleare in Europa potrebbe arrivare dalle Elezioni europee del prossimo giugno. Generalmente, i partiti conservatori e di destra guardano con favore agli investimenti sull’energia atomica, mentre tra le forze politiche progressiste prevalgono posizioni scettiche e in alcuni casi radicalmente contrarie. «Il clima è un tema su cui la destra si è mossa in ritardo – osserva Iacoboni -. Oggi non ci si può permettere di essere negazionisti, perciò i partiti conservatori stanno cercando un nuovo posizionamento. E il nucleare è sicuramente parte di questa strategia». Un’analisi di Eu Matrix mostra che i tre maggiori partiti italiani di destra e centrodestra (Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega) hanno votato quasi sempre a favore di provvedimenti sul nucleare, al pari di molti loro alleati a Bruxelles. È possibile, dunque, che nella campagna elettorale dei prossimi mesi si tornerà a parlare di questo tema. «Spesso il dibattito sul nucleare è stata una modalità di distrazione di massa», mette in guardia ancora una volta Iacoboni. «Parlare di energia nucleare implica che non si parli di altro. E oggi – precisa l’esperto – questo “altro” è rappresentato dal gas, che a differenza del nucleare non è affatto a emissioni zero e su cui anche in Italia si sta giocando un’enorme partita in termini di investimenti».

Foto di copertina: OPEN / Elaborazione grafica di Vincenzo Monaco

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