Juary, il bomber dell’Avellino negli Anni Ottanta: «Mi portarono in Italia con l’inganno»

L’ex calciatore oggi allena i bambini, ma non scorda il Belpaese: «Ho conosciuto Raffaele Cutolo, era un mio ammiratore»

Jorge dos Santos Filho, in arte Juary, cresciuto nel Santos di Pelé, ha giocato in Italia con Avellino, Inter, Ascoli e Cremonese. Fa parte di quei calciatori stranieri arrivati in Italia dopo la riapertura delle frontiere negli Anni Ottanta. E oggi in un’intervista a La Stampa racconta una storia che sembra tratta da L’allenatore nel pallone. Perché, dice, venne portato in Italia con l’inganno: «Seppi del trasferimento all’Avellino, su un aereo per Roma, dove mi avevano convinto a salire con l’inganno: dopo qualche bicchiere di vino, Nicola Gravina, manager che mi seguiva fin da ragazzino, confessò». Ad Antonio Barillà Juary racconta che tutto arrivò con una bugia: «Mi disse che l’Universidade, mia ex squadra a Guadalajara, era interessata ad alcuni calciatori italiani e voleva li visionassi anch’io».


Avellino e Inter

Il racconto prosegue: «Mi sembrava strano, ancor di più in aeroporto quando si presentò Floris, il segretario del club: mi dissero che doveva occuparsi delle spese». Poi arrivò la verità: «“Dove cazzo è Avellino? Non ci vado” protestai, ma lui sorrise: “Sai volare? Perché paracadute non ce n’è». Poi si ritrovò nello studio del presidente della società campana: «Dopo un viaggio in auto da Fiumicino. Ero incuriosito, inquieto, dubbioso. Invece fu la svolta della mia vita, Avellino diventò casa e il presidente un secondo papà: nei momenti bui c’era sempre, negli affari bastava una stretta di mano». In Campania ha fatto conoscenze importanti: «Raffaele Cutolo, il boss della camorra», che voleva conoscerlo. Poi andò all’Inter: «Faticai ad ambientarmi, non solo per il clima. Ricordo un gol al Catanzaro di cui, per la nebbia, ci accorgemmo solo io e l’arbitro. Il fatto è che ad Avellino ero un re, la squadrami ruotava attorno e la gente mi coccolava: all’Inter, circondato da campioni, uno dei tanti».


Ascoli e Cremonese

Anche le tappe successive furono deludenti: «Ascoli e Cremonese, pochi gol e tanti incontri preziosi: non dimentico la professionalità e l’umanità di Mondonico». Poi voleva tornare in Brasile, ma accettò un’offerta del Porto e finì per vincere la Coppa dei Campioni con un suo gol contro il Bayern Monaco. Adesso fa l’allenatore e dice che non bisogna insegnare troppa tattica ai ragazzini: «A furia di insistere sugli schemi, fatichi a trovare ragazzi bravi nell’uno contro uno. E in Italia, patria di difensori, l’arte di marcare si sta smarrendo». Oggi segue ancora la Serie A «e so tutto del mio Avellino. L’Italia è la mia seconda patria, mia figlia Carolina vive a Salerno».

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