Quello strano asse tra Zaia, M5s e un pezzo di Pd che potrebbe approvare la prima legge regionale sul fine vita

Il consiglio regionale del Veneto si esprime sul tema martedì prossimo. La consigliera pentastellata Baldin: «I numeri dei favorevoli a una mia mozione sullo stessa tema (votata a larga maggioranza) mi fanno sperare che la legge passerà»

Il tradizionalmente cattolico Veneto potrebbe essere la prima Regione a votare una legge sul fine vita. Martedì prossimo, 16 gennaio, il consiglio regionale è chiamato a pronunciarsi sul progetto legislativo «Liberi Subito», presentato dall’Associazione Luca Coscioni. Si tratta di una proposta di iniziativa popolare che ha raccolto oltre novemila firme, sulle settemila necessarie. Cinque articoli concernenti le procedure e i tempi (20 giorni per la verifica dei requisiti, 7 per l’esecuzione) per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito, ovvero la possibilità di auto-somministrare un farmaco letale a determinate condizioni, resa possibile dopo la storica sentenza della Corte costituzionale del 2019. Per far passare il progetto di legge servirà il 50% più uno dei voti (palesi) dei consiglieri presenti a palazzo Ferro-Fini. E il peso politico del presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, che ribadisce a Open «la propria posizione favorevole al testo, lasciando la libertà di voto alla maggioranza come sempre fatto sui temi etici», potrebbe dare una spinta all’accettazione del progetto.


Il M5S si è detto favorevole, il Pd è spaccato sul tema, FdI è contrario e appoggiato dai pro-life. Stando infatti alle cifre riportate del Mattino di Padova, su 51 consiglieri regionali 24 voteranno a favore, 18 contro; 4 gli astenuti, 5 gli indecisi. La legge, salvo “franchi tiratori” dell’ultimo minuto, potrebbe essere così approvata. «I numeri dei favorevoli a una mia mozione sullo stessa tema (votata a larga maggioranza) mi fanno sperare che la legge passerà. Il voto palese mette le consigliere e i consiglieri di fronte alla proprie responsabilità individuali, e non di schieramento», dice a Open Erika Baldin, consigliera del Movimento 5 stelle. Quella di martedì, oltre a rappresentare una decisione storica che decreterà (o meno) il Veneto come prima Regione ad avere una legge sul fine vita, sarà con ogni probabilità, un voto di gradimento al governatore, nonostante – a più riprese – abbia definitivo la votazione un «pronunciamento non politico». Eppure, il nuovo incidente (del tutto politico) per la coalizione di centrodestra potrebbe essere dietro l’angolo.


Il progetto di legge: ruoli, procedure e tempi

Il progetto di legge in aula martedì si pone l’obiettivo di «definire i ruoli, i tempi e le procedure delineate della Corte costituzionale attraverso una sentenza immediatamente esecutiva, ferma restando l’esigenza di una legge nazionale che abbatta la discriminazione tra malati oggi in atto», si legge nel testo. «Una legge regionale serve a definire tempi certi e modalità uguali in tutte le ULSS (Azienda Unità Sanitaria Locale Socio Sanitaria, ndr) per la fornitura del farmaco e nell’assistenza fino all’ultimo momento. Tempi certi, procedure semplificate, accessibilità universale e gratuità del passaggio. Finora tutto questo non è stato normato», sottolinea Baldin. In sintesi, l’azienda sanitaria regionale – dietro richiesta dell’interessato e previa valutazione della Commissione medica multidisciplinare – «fornisce ogni supporto e assistenza, incluso farmaco, macchinario e assistenza medica per la preparazione all’auto-somministrazione alla persona malata che ne faccia richiesta». È inoltre prevista una riduzione dei tempi al fine di garantire alla persona «la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile rispetto all’alternativa del rifiuto delle cure con sedazione profonda continuativa». Il termine complessivo è quindi di 27 giorni: 20 dal ricevimento della richiesta della persona; 7 giorni per l’esecuzione della prestazione. Tale verifica e assistenza ai trattamenti sono inoltre assicurate gratuitamente. La proposta di legge non comporta infine variazioni in aumento o in diminuzione a carico del bilancio regionale perché ai costi si provvede «nell’ambito della dotazione per le prestazioni e servizi gratuiti con fondo sanitario regionale», precisa la norma.

Ma come funziona in Italia il suicidio medicalmente assistito?

I giudici della Corte costituzionale con la sentenza del 2019 hanno individuato una circoscritta area in cui l’incriminazione per aiuto al suicidio assistito (ex art. 580 del codice penale) non è conforme alla Costituzione. Il pronunciamento della materia non dà però indicazioni precise sulle modalità e i tempi di attuazione. In Italia per poter accedere al fine vita, l’Azienda sanitaria locale di riferimento – dopo aver ricevuto la richiesta dell’interessato – deve verificare la presenza dei quattro requisiti previsti dalla sentenza di 5 anni fa: la persona deve essere tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale (ad esempio l’idratazione e l’alimentazione artificiale), deve essere affetta da una patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputi intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Tali condizioni devono essere verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere di un comitato etico.

In base a una legge del 2017, il paziente può già decidere di lasciarsi morire chiedendo l’interruzione dei trattamenti di sostegno vitale e la sottoposizione a sedazione profonda continua, che lo pone in stato di incoscienza fino al momento della morte. La legge nazionale, però, non consente al medico di mettere a disposizione del paziente trattamenti atti a determinare la morte. Ciò significa che la persona «è costretta a subire un processo più lento e più carico di sofferenze», chiarisce la proposta di legge. Alla luce di tale situazione, la Consulta ha ritenuto di dover porre rimedio alla discriminazione riscontrata garantendo «l’erogazione di una appropriata terapia del dolore e di cure palliative» nel caso di rinuncia della persona ai trattamenti sanitari necessari alla sopravvivenza. Inoltre i giudici hanno ritenuto che la verifica delle condizioni che rendono legittimo l’aiuto al suicidio assistito e delle relative modalità di esecuzione debba restare affidata – in attesa dell’intervento legislativo – a strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale.

I precedenti (storici)

Federico Carboni è stato il primo italiano ad aver avuto accesso al suicidio medicalmente assistito in Italia. Nel 2022 si è fatto carico, non volendo attendere altro tempo per chiedere anche l’assistenza da parte del Servizio sanitario nazionale nella fase finale, dei costi del farmaco e del macchinario, acquistato grazie a una raccolta fondi aperti dall’Associazione Luca Coscioni. Gloria (nome di fantasia), paziente oncologica di 78 anni, è la seconda persona in Italia ad aver scelto di porre fine alle proprie sofferenze attraverso il suicidio assistito; la prima ad aver ottenuto la consegna del farmaco e di quanto necessario da parte dell’azienda sanitaria locale del Veneto. Oltre a Federico Carboni e Gloria – anche altri due italiani, Stefano Gheller e Antonio (altro nome di fantasia) – hanno ottenuto il via libera dal Comitato Etico della regione di appartenenza (ultimo step prima del semaforo verde) e sono quindi liberi di scegliere il momento più opportuno per confermare le proprie volontà o eventualmente modificare le proprie intenzioni iniziali. Anna, infine, una donna triestina di 55 anni, è il primo caso in Italia ad aver avuto accesso al suicidio assistito con l’assistenza completa al Snn. Era affetta da una malattia irreversibile che le era stata diagnosticata nel 2010, la sclerosi multipla secondariamente progressiva, e da un anno chiedeva di poter accedere alla morte assistita volontaria. 

M5s favorevole, Pd spaccato, FdI contrario

Non sarà un voto scontato quello di martedì prossimo in aula. I consiglieri M5s sono favorevoli, il Pd sembra essere invece spaccato. Per il leghista Zaia, che sarà presente in aula martedì prossimo, «il Veneto è l’unica regione in Italia a trattare questo tema, a fronte di una richiesta civile e legittima di migliaia di cittadini». Tuttavia, l’incognita più grande riguarda gli indecisi. «Deve essere una battaglia senza colore politico. La libertà di scelta è un tema trasversale ai partiti, la maggior parte della cittadinanza è a favore di una normativa sul fine vita. E grande è il significato progressista della battaglia dell’associazione Coscioni, sostenuta dalle firme di oltre 9000 cittadine e cittadini veneti», sottolinea Baldin. Nel frattempo, Fratelli d’Italia – che ha convocato un tavolo per il 18 gennaio per «condividere le dovute considerazioni a valle della votazione» – si è espresso contrario alla proposta di legge regionale. «Non vogliamo che il tema – si legge in una nota – sia ricondotto ad una appartenenza di partito e abbiamo voluto quindi coinvolgere tutti i colleghi consiglieri e tutte le realtà associative, principalmente quelle che hanno partecipato alle audizioni».

Oltre a ritenere che la legge non sia di competenza regionale, FdI punta a «coinvolgere in modo trasversale e non partitico quanti credono sia doveroso avere la massima cautela, pudore e rispetto della dignità della vita dell’uomo nell’affrontare un tema così delicato». A fargli eco sono le associazioni pro-life, capitanate dal portavoce di Pro Vita & Famiglia Onlus, Jacopo Coghe. «Chiediamo con forza a tutto il Consiglio Regionale del Veneto di respingere la proposta di legge sul “suicidio assistito” presentata dal Movimento 5 Stelle, in quanto manifestamente incostituzionale, segnalando in particolare alla maggioranza di centrodestra non solo la totale estraneità dell’iniziativa dal programma politico presentato ai cittadini veneti alle ultime elezioni amministrative, ma la sua diretta contrapposizione col panorama valoriale della stessa maggioranza a livello nazionale». Sostenere la battaglia, per il M5s, è al contrario necessario «perché amplia lo spettro dei diritti delle cittadine e dei cittadini – conclude la consigliera pentasetellata – perché scegliere come potersene andare in caso di malattia incurabile e dolorosa, che causa sofferenze indicibili, è un atto di civiltà».

Leggi anche: