Il suicidio assistito silenzioso di una donna in Svizzera: «È sparita senza dirci nulla, l’ho saputo giorni dopo»

Parla il marito di Marta, che ha scelto di togliersi la vita in una clinica di Basilea per la depressione

Marta, caduta in depressione dopo la morte del figlio dopo una lunga malattia, il 12 ottobre scorso ha scelto di morire con il suicidio assistito in una clinica svizzera dalle parti di Basilea. Ha deciso di compiere il gesto senza informare i suoi familiari. Il marito Alberto, che vive in Canada per ragioni di lavoro, parla oggi con Repubblica della vicenda. E accusa la Svizzera di aver taciuto tutto a loro. «Non mi sarei opposto alla decisione di mia moglie di morire se avessi avuto la certezza che questa fosse stata davvero ponderata e sedimentata», esordisce nel colloquio con Luca Monaco.


I segnali

Poi spiega che la moglie gli aveva detto «che non sopportava di vivere senza nostro figlio, e che l’amore per me, per quanto grande, non le era sufficiente a sostenere il dolore che provava. Poi però ci aveva fatto capire di averci ripensato. Si era rivolta a uno specialista, aveva contemplato la possibilità di frequentare “La stanza del figlio” un’associazione per il sostegno dei genitori che hanno perso i figli. Noi due ci sentivamo tutti i giorni per telefono, mi rassicurava che tutto stesse andando bene, la vedevo molto impegnata nel lavoro. Li coglievo come segnali positivi». Con la moglie, dice, avevano l’accordo di rivedersi a Natale a causa degli impegni di lui. «La sapevo attorniata da amici carissimi, ai quali chiedevo informazioni, che non avevano colto alcun segno di stanchezza della vita. Anzi, usciva, andava a mangiare fuori, parlava con passione degli argomenti che la interessavano», aggiunge.


Tre giorni prima

Dice di averla sentita per l’ultima volta tre giorni prima della morte: «Per due o tre giorni non ha risposto ai miei WhatsApp, ma sapevo che era molto impegnata nel lavoro, avevo ricevuto notizie positive dai colleghi sul fatto che fosse lanciata in un nuovo progetto. Immaginavo che me ne avrebbe parlato, come sempre, finite le giornate più intense. Il collega che l’ha incontrata per ultimo, due giorni prima, mi ha detto che avevano passato ore a discutere di un problema tecnico, che lei era felice di aver trovato la soluzione. Tutto avremmo immaginato tranne che avesse già in tasca il biglietto del treno per Basilea». Ha anche ricevuto una mail di commiato, purtroppo finita nello spam perché non è stata mandata dal suo indirizzo.

Il certificato di morte

«Giorni dopo mi hanno spedito per mail il certificato di morte, senza specificare le cause. Ma sapevo già tutto, grazie alle autorità italiane che mi hanno messo in contatto con l’agenzia di pompe funebri», racconta ancora Alberto. Dice anche che non gli è stato consentito di vedere il corpo prima della cremazione. E conclude: «Marta ha lasciato il pc e il telefono a casa, scrivendo da numeri e indirizzi non suoi. Non sapremo mai se è stata una sua scelta autonoma o se è stata frutto di una indicazione della associazione per evitare che fosse rintracciata e quindi indotta a ripensarci all’ultimo momento».

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