Sanremo 2024, Diodato: «Torno all’Ariston per avere una nuova visione di me» – L’intervista

Vincitore dell’edizione del 2020, il cantautore torna sul palco di Sanremo con «Ti muovi»

L’importanza di essere Diodato in questa discografia take away, così veloce, fulminea, leggera, diremmo leggerissima dato che parliamo del Festival di Sanremo, andrebbe ricordata, forse addirittura celebrata. Amadeus quest’anno, forse più degli altri anni, centra, al netto di orpelli da show Rai stile Ricchi e Poveri, il cast più contemporaneo dei suoi sei Festival. È una questione di sound, la maggior parte delle canzoni che ascolteremo tra una settimana sono tecnologiche, iperprodotte, poco sanremesi nel senso che negli anni abbiamo dato all’aggettivo sanremese, quindi brani fortemente orchestrali, fortemente accessibili, fortemente melodici. Tra i trenta in gara però ha trovato spazio anche Diodato, che arriva da vincitore dell’edizione di Sanremo 2020, la più sfortunata della storia, quella a ben ragione cancellata dalla nostra visuale dopo una manciata di giorni a causa dello scoppio della pandemia. Gli artisti come Diodato rimangono l’ultimo baluardo di un modo di intendere la musica che stiamo tristemente perdendo e se uno dei doveri di Sanremo è inquadrare il momento storico della musica del nostro paese, e lo è, Ti muovi, il brano con cui Diodato si presenterà all’Ariston, affogato in mezzo ad una sequela di tentate (chissà se riuscite) hit, restituisce proprio questa sensazione. Non è un caso dunque che ai microfoni di Open parli di questa scelta di ritornare come di una visione e non, come fanno tanti, quasi tutti, di una vetrina.


Il brano

Chissà quanto farà rumore, giusto per restare in clima di citazioni, questo suo nuovo pezzo nel bel mezzo di quello che suona come un Festivalbar 2.0? Ti muovi ci aiuterà a capire quanto spazio e attenzioni conserva il largo pubblico per brani come Ti muovi? Staremo a vedere se il concept canzone d’autore ha ancora ossigeno, se un certo tipo di composizione, di pensiero musicale, troverà ancora tempo per prendersi un bel respiro e farsi assaporare. Perché la musica di Diodato è fatta così, serve la tempistica della delicatezza, dell’educazione, del ragionato; l’esplosione, basti pensare proprio al ritornello di Fai rumore, ormai entrato nell’immaginario collettivo come un grande classico, è solo il punto esclamativo, la lampadina, l’idea, il sorriso, la rottura pop di un andamento impegnato e dolcissimo, pulito e intenso, sensibile e potente.


La musica e il resto

Detto ciò l’esistenza di Diodato, dentro o fuori la lista Sanremo (ma sempre meglio dentro), risulta quasi stupefacente, il cantautore nato ad Aosta 42 anni fa, originario di Taranto e romano d’adozione, vive un mondo che non è più fatto per i Diodato, a meno che, ed è questa la speranza, il pubblico, pistola alla testa, non sappia distinguere con ragionevolezza musica e musica: le canzoni da lido estivo, da barcollare brillocci con un cocktail annacquato tra le mani, dalle canzoni che invece ti freddano, ti stritolano il cuore, ti danno una pacca sulle spalle dell’anima per sorreggerti quando non ce la fai, come se fossero consapevoli del dolore che porti dentro e ne vogliano un pezzettino. Certo, Amadeus propinando al pubblico ben trenta brani, molti dei quali, oggettivamente, fisiologicamente, destinati a sciogliersi nei suddetti lidi, nei suddetti cocktail, rende la vita particolarmente complessa alla promozione di un certo tipo di musica più impegnata; nella discografia di oggi infatti, è tempo di alzare le braccia, la poesia solitamente affonda dinanzi alle onde anomale delle sonorità moderne, tristemente leggere, quasi sempre superficiali. Infatti stiamo tirando su una nuova generazione di largo pubblico convinta che le canzoni impegnate, suonate con degli strumenti, siano necessariamente noiose e mai sentenza fu così errata e mai più pericolosa. E poi lo chiamano progresso. Diodato comunque ce la fa, Diodato comunque resiste, forte di una purezza che rimbalza ipnotica tra il suo atteggiamento come artista e ciò che produce come artista. Ma che non si pensi ad un pop mollacchione, romantico fino al nauseante, Diodato è tutt’altra cosa, a parte la potenza della scrittura e, soprattutto, dell’interpretazione, alla fine di questa analisi, alla vigilia del suo quarto ingresso dalla porta principale dell’Ariston, è obbligatorio specificare che si tratta di un artista molto coraggioso, ormai abituato al confronto con il mostro sanremese ma anche con il suo Uno Maggio Taranto Libero e Pensante, che organizza da dieci anni con sempre più seguito assieme a Michele Riondino e Roy Paci; abituato al confronto con il cinema, che sta diventando la sua seconda casa dopo il David di Donatello, il Ciak D’oro e il Nastro D’argento per la migliore canzone originale con Che vita meravigliosa, composta per La dea fortuna di Ozpetek; un percorso che si sta ripetendo con La mia terra, colonna sonora di Palazzina Laf, dell’amico Riondino. Tutti side project che però ci dicono qualcosa di lui, che ci raccontano di un intento artistico pulsante, presente a se stesso e non inginocchiato ad elemosinare stream caduti dalle tasche dei trapper. La prova che un’altra musica è possibile, nella discografia, al cinema e anche dentro il più affollato Festival di Sanremo di sempre. E se la sua Ti muovi non troverà abbastanza aria buona in riviera ligure, certamente andrà a respirare altrove, come fanno sempre i pezzi di tale impeto, che vagano invisibili dribblando la nostra comune indifferenza e alla fine un cuore da spezzare lo trovano sempre.

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