Il processo climatico contro Eni è iniziato: al tribunale di Roma la prima udienza della causa promossa da Greenpeace e ReCommon

Le due associazioni ambientaliste chiedono all’azienda di rivedere il proprio piano industriale. Eni: «Accuse totalmente infondate»

È cominciato oggi, venerdì 16 febbraio, il primo contenzioso climatico promosso in Italia contro Eni. Al tribunale di Roma si è svolta la prima udienza della causa intrapresa da Greenpeace e ReCommon contro il colosso italiano dell’energia e dei combustibili fossili. Le due associazioni ambientaliste chiedono al giudice Corrado Cartoni di riconoscere le responsabilità climatiche storiche di Eni e costringere l’azienda a rivedere il suo piano industriale per renderlo coerente con gli impegni presi in sede internazionale. Trattandosi di un processo civile, alla prima udienza di oggi non è successo niente di più di un semplice scambio di note scritte. Ora il giudice avrà trenta giorni per decidere se aprire o no l’istruttoria, ossia quella fase del processo in cui si ascoltano i testimoni e si raccolgono informazioni e dati che possono risultare utili. Se gli elementi presentati finora dalle parti in causa dovessero essere ritenuti sufficienti, si salterebbe direttamente all’udienza conclusiva del processo. «In questo caso, la sentenza potrebbe arrivare a fine 2024. Se invece viene disposta la consulenza d’ufficio, i tempi si dilateranno», spiega a Open Alessandro Gariglio, legale di Greenpeace.


Le memorie difensive

Per difendere la propria posizione, Eni si è affidata a due esperti: Carlo Stagnaro, direttore degli studi del think tank liberista Istituto Bruno Leoni, e Stefano Consonni, professore ordinario del dipartimento di Energia del Politecnico di Milano. Greenpeace e ReCommon puntano invece sulla dimostrazione obiettiva delle responsabilità del «Cane a sei zampe» in termini di impatto sul clima. In una ricerca pubblicata nei mesi scorsi, le due associazioni hanno ripescato alcune pubblicazioni prodotte da Eni negli anni Settanta e Ottanta in cui l’azienda, all’epoca interamente sotto il controllo dello Stato, metteva in guardia sui possibili impatti devastanti derivanti dalla combustione dei combustibili fossili.


Le accuse di greenwashing

Secondo Greenpeace e ReCommon, Eni è consapevole da tempo degli effetti negativi delle attività in cui investe ma ad oggi non sta facendo abbastanza per limitare il proprio impatto sull’ambiente e sul clima. A dirla tutta, le due associazioni ambientaliste non sono le uniche a puntare il dito contro le responsabilità del colosso italiano dell’energia. L’ultimo report di Oil Change International evidenzia infatti come Eni nel 2022 abbia investito 15 volte di più nel business dei combustibili fossili rispetto a quanto abbia investito in Plenitude, il ramo aziendale che si occupa di rinnovabili. Greenpeace e ReCommon chiedono dunque che l’azienda sia obbligata a rivedere la propria strategia industriale per rispettare l’Accordo di Parigi sul clima del 2015, ovvero per ridurre le emissioni di almeno il 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020. La stessa richiesta è estesa anche al ministero dell’Economia e delle Finanze e a Cassa depositi e prestiti, entrambi azionisti di Eni.

La difesa di Eni: «Accuse infondate»

L’azienda guidata da Claudio Descalzi respinge tutte le accuse e si dice pronta a dimostrare in tribunale «la totale infondatezza delle accuse avanzate da Greenpeace e ReCommon, sia dal punto di vista giuridico che di merito», fa sapere Eni al termine dell’udienza di oggi. Già lo scorso anno, quando le due associazioni avevano depositato l’atto di citazione a giudizio, Eni aveva difeso «la correttezza del proprio operato e della propria strategia di trasformazione e decarbonizzazione, che mette insieme e bilancia gli obiettivi imprescindibili della sostenibilità, della sicurezza energetica e della competitività del Paese».

I contenziosi climatici

Il processo civile che è iniziato oggi a Roma è solo l’ultimo esempio di «contenzioso climatico», ossia di una causa intentata da un gruppo di cittadini o associazioni che chiedono di imporre a una società privata o a un ente pubblico il rispetto di determinati standard in materia di riduzione delle emissioni di gas serra. A dicembre 2022, secondo un report delle Nazioni Unite, i contenziosi climatici nel mondo hanno superato quota 2mila. Alcuni sono andati a buon fine, altri si sono conclusi con un nulla di fatto. In Italia, il primo caso di contenzioso climatico ha preso il nome di «giudizio universale» ed è iniziato nel 2021, quando un gruppo di 200 cittadini e associazioni ha promosso una causa contro lo Stato, accusato di non fare abbastanza per contrastare la crisi climatica.

Utili in calo nel 2023

La prima udienza del contenzioso climatico promosso da Greenpeace e ReCommon contro Eni arriva nello stesso giorno in cui l’azienda ha reso noti i risultati economico-finanziari del 2023. Il Cane a sei zampe ha chiuso lo scorso anno con un utile netto di 4,7 miliardi di euro, in calo del 66% rispetto al 2022. L’utile netto adjusted è sceso invece del 38% a 8,2 miliardi. I risultati per il 2023 presentati da Eni non sono piaciuti agli azionisti, con il titolo che ha chiuso la giornata a Piazza Affari in calo del 2,8%. L’amministratore delegato Claudio Descalzi si è detto comunque soddisfatto: «Il 2023 è stato per Eni un altro anno di eccellenti risultati, nonostante uno scenario incerto e volatile. Abbiamo conseguito ottimi risultati sia finanziari che operativi, progredendo nella nostra strategia di creazione di valore, di decarbonizzazione e di contestuale garanzia di stabilità e affidabilità delle forniture energetiche».

ANSA/Angelo Carconi | L’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi ad Atreju, la festa di Fratelli d’Italia (Roma, 16 dicembre 2023)

Foto di copertina: ANSA | Uno striscione appeso da Greenpeace all’esterno della sede di Eni a Roma (5 dicembre 2023)

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