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I 21 giorni nello spazio dell’astronauta Villadei: «Mangiavamo pasta e guardavamo film horror con i russi e gli americani, era la casa di tutti»

«Ora il mio compito non è sognare il brivido di una nuova missione ma lavorare per sviluppare il lavoro compiuto», ha spiegato il colonnello

Lo scorso 9 febbraio, la navetta Crew Dragon Freedom, con a bordo il colonnello dell’Aeronautica Militare Walter Villadei, è tornata sulla terra dopo 21 giorni. Oggi, a distanza di una settimana, i tempi sono maturi per un bilancio. «Volare nello spazio sulla navicella Dragon, entrare nella stazione spaziale e abbracciarci con gli altri colleghi di tante nazioni è stata un’emozione fortissima, inimmaginabile nei lunghi anni d’attesa (13, per la precisione, ndr)», ha dichiarato Villadei al Corriere della Sera. Il colonnello, oltre ad aver ricoperto il ruolo di pilota è l’ottavo italiano a essere stato in orbita, nonché il protagonista di Volunta, una missione nata dallo sforzo congiunto tra Presidenza del consiglio, i ministeri della Difesa, delle Imprese e del Made in Italy, dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Agenzia spaziale Italiana e Aeronautica Militare, accanto a centri di ricerca, università e industrie.


«La casa di tutti»

L’adattamento alla nuova condizione, racconta Villadei, è stato inaspettato ma rapido. «Dormivo le ore previste senza difficoltà – ha spiegato -. Semmai ho dovuto imparare a muovermi senza fare danni, con un po’ di accortezza, calmando l’euforia del sentirmi senza la gravità». La convivenza con le altre persone nella stazione, undici in tutto, non è stata solo priva di problemi, ma anche piacevole: «Ognuno lavorava nei propri moduli. Ma spesso si mangiava assieme, ed era il momento migliore. Due volte siamo stati ospiti dei russi apprezzando la pasta Barilla. Una domenica, invece, tutti riuniti nel modulo americano abbiamo visto dopo cena un film. Una storia di horror in una foresta, come fossimo in una domenica terrestre. La stazione è la casa di tutti».


La quotidianità

La quotidianità, al contrario di altri casi, non si sarebbe rivelata troppo faticosa perché «la Nasa e Axiom che gestiva la spedizione hanno organizzato in modo equilibrato le attività effettuando gli esperimenti preparati dall’Aeronautica Militare, dall’agenzia spaziale Asi e dalle industrie. Con un allarme, che per fortuna non si è materializzato. Siamo stati avvisati con 48 ore di anticipo di un rottame che poteva essere in rotta di collisione con la stazione ma poi la sua traiettoria si è allontanata e la tranquillità è ritornata. Per certi aspetti è stata una fortuna. Perché abbiamo così potuto collaudare un esperimento dell’Aeronautica, un software, dedicato proprio alla valutazione di questo genere di rischi e la sua efficacia».

I momenti più belli

Villadei ha aggiunto anche di aver partecipato agli esperimenti di altre nazioni: «Per la prima volta, che io sappia, si sono portati in orbita dei cellulari che si usano quotidianamente per effettuare delle prove che potrebbero essere utili nei prossimi voli. L’esperienza era nuova e si è dimostrata positiva aprendo delle prospettive». I momenti che custodirà nella memoria sono diversi: «Oltre alla meraviglia di guardare dalla cupola, mi sono emozionato soprattutto una notte quando la nostra orbita ha sorvolato dal nord al sud l’intera penisola italiana: uno spettacolo di luci che non dimenticherò mai».

La capsula Dragon

«Altrettanto emozionante – ha proseguito Villadei – era il dormire nella capsula Dragon, da solo, mentre gli altri tre miei compagni erano nella stazione. Anche se c’era più freddo nella capsula, riposavo tranquillo e facevo sogni terrestri mentre ora, che sono tornato, sogno di essere in orbita. Dragon ha due oblò ed era straordinario poter addormentarsi e svegliarsi accompagnato dalla visione della Terra; un privilegio unico. Sempre bello, inoltre, era collegarsi la sera con la famiglia e parlare con mia moglie e i miei figli come fossimo vicinissimi». Il colonnello guarda ora al futuro, con le idee chiare: «Ora il mio compito non è sognare il brivido di una nuova missione ma lavorare per sviluppare il lavoro compiuto».

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