Pnnr, nei conti di Fitto c’è un mistero: dei 45,6 miliardi spesi più della metà sono per Superbonus & c.

Il Sole 24 Ore: l’Italia in tre anni ha speso solo l’11% dei fondi

La scoperta è del Sole 24 Ore: l’Italia ha speso in tre anni davvero solo l’11% dei fondi per le opere finanziate dal Pnrr, e ora toccherà spendere l’89% fra il 2024 e il 2026 per non perdere quei fondi. Secondo il quotidiano economico, infatti, la relazione governativa appena presentata dal ministro Raffaele Fitto dichiara che la spesa effettiva fino a qui è stata di 45,65 miliardi di euro. Ma nella somma sono compresi 26,74 miliardi di euro utilizzati per pagare i crediti di imposta del Superbonus, per Industria 4.0 e per gli incentivi a ricerca e sviluppo. Somma che non riguarda alcun nuovo investimento né alcuna opera pubblica per cui il Pnrr era stato pensato. La spesa reale complessiva 2021-2023 quindi si è fermata ben al di sotto, a 18,9 miliardi di euro.


I dati reali

Fitto – secondo quanto riporta il Sole 24 Ore- non nega il dato, ma accusa enti pubblici e la piattaforma messa a loro disposizione dal Tesoro di non avere caricato i dati reali perché secondo lui gli investimenti in opere pubbliche sarebbero ben più consistenti: «Quella sulla spesa», spiega il ministro, «è una stima prudenziale che riteniamo sottodimensionata perché molti enti attuatori non hanno caricato sul programma Regis una spesa già effettuata». Il Sole 24 ore ricorda che secondo il time table 2021 del governo di Mario Draghi a fine 2023 la spesa in opere pubbliche avrebbe dovuto essere di 85,9 miliardi di euro. Visto l’andamento a rilento, quella previsione nella Nadef 2022 era stata ridotta a 61,4 miliardi di euro. Anche non considerando il capitolo dei crediti di imposta invece ci si è fermati a un livello decisamente inferiore con i 45,65 miliardi consuntivati in tre anni. Resterebbero quindi da spendere 151,418 miliardi di euro nei prossimi tre anni. Ogni anno più di 50 miliardi di euro, cifra superiore di 5 miliardi a quella ottenuta nei tre anni precedenti. Una prospettiva che sembra davvero impossibile da realizzare.


Il Pnrr va piano

In ogni caso il Pnrr va piano. Così piano che l’Italia rischia di arrivare alla scadenza del 2026 lasciando per strada opere incompiute. A rivelarlo è la relazione semestrale del governo, approvata ieri. Al 31 dicembre 2023, risulta che l’Italia abbia speso 45,6 miliardi in opere finanziate con i fondi europei. Una cifra che scende in realtà sotto i 43 milioni se si depurano gli investimenti usciti dal Piano con la rimodulazione voluta dal governo Meloni. Il problema è che quei 45,6 miliardi sono meno della metà dei fondi che l’Italia ha ricevuto finora da Bruxelles, ossia 101 miliardi. Il risultato è che da qui al 2026 restano ancora 151,4 miliardi di euro da spendere. Un ritmo di investimenti che, a meno di un deciso cambio di passo, difficilmente l’Italia riuscirà a sostenere. In più, l’Italia ha speso in tre anni davvero solo l’11% dei fondi per le opere finanziate dal Pnrr, e ora toccherà spendere l’89% fra il 2024 e il 2026 per non perdere quei fondi.

Un risultato sotto le attese

La spesa relativa al Pnrr svelata ieri dalla relazione del governo è ben al di sotto delle attese. Secondo il Def del 2021 redatto dal governo Draghi, a fine 2023 gli investimenti avrebbero dovuto attestarsi a 85,9 miliardi. Un anno più tardi, fu lo stesso esecutivo a far scendere la previsione a 77 miliardi. La Nadef successiva ridusse ancora una volta le previsioni: 61,4 miliardi. Alla fine, il risultato diffuso ieri dalla relazione del governo si è fermato a 45,6 miliardi, quasi 16 in meno di quanto ci si aspettava. Il ministro Fitto ha provato a metterci una pezza: «I numeri sono assolutamente sottodimensionati perché molti enti attuatori non hanno caricato, sul programma Regis, una spesa di fatto già effettuata». Secondo Fitto, l’Italia ha ormai superato «la fase della progettazione e delle gare di appalto». Questo, stando a quanto riferito dal ministro, significa che ora comincerà la realizzazione vera e propria di molti interventi, che «inciderà molto positivamente sui numeri complessivi della spesa».

Le accuse delle opposizioni

Il governo, insomma, continua a essere ottimista, con la premier Giorgia Meloni che si dice soddisfatta di quanto fatto finora e promette che «il lavoro non è finito». A storcere il naso sono invece le opposizioni. «Lo stato di avanzamento del Pnrr non può che preoccuparci. A due anni e mezzo dalla chiusura, non è stata spesa neanche la metà dei fondi a disposizione. E soprattutto languono le grandi opere e i cantieri», attacca Raffaella Paita, coordinatrice nazionale di Italia Viva. Il Movimento 5 Stelle accusa l’esecutivo di trattare il Pnrr «come una televendita di pentole e materassi», mentre il Pd chiede al ministro Fitto di non sottrarsi «al doveroso confronto con le sedi parlamentari in merito ad un piano che segnerà le sorti industriali e sociali del nostro Paese per i prossimi decenni e risulta in ritardo».

La spesa divisa per ministeri

A fine 2023, è il ministero dell’Ambiente ad aver speso la somma più ingente di fondi del Pnrr: 14 miliardi. Da qui al 2026 il dicastero guidato da Gilberto Pichetto Fratin dovrà impegnarsi a spenderne altri 19,7. Sul secondo gradino del podio c’è il ministero delle Imprese, che ha speso fin qui 13,7 miliardi e ne ha ancora 15,1 da spendere nei prossimi anni. Ma da qui al 2026 sarà soprattutto il ministero delle Infrastrutture a dover accelerare gli investimenti. Al 31 dicembre 2023, il dicastero guidato da Matteo Salvini aveva speso 6 miliardi di fondi del Pnrr e ne ha a disposizione ancora 33,8. Ma i ministeri fin qui elencati non sono gli unici che si troveranno a dover gestire un’importante quota di investimenti da qui al 2026. Il ministero dell’Istruzione ha ancora 14 miliardi da spendere, il ministero della Salute 15 miliardi, il dipartimento della Trasformazione digitale 10,2 miliardi, il ministero dell’Università 10,1 miliardi e il ministero del Lavoro 8,3 miliardi.

Foto di copertina: ANSA/Claudio Peri | La premier Giorgia Meloni e il ministro Raffaele Fitto in Senato (Roma, 25 ottobre 2023)

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