Levante, la gelosia e i ricatti di un ex: «Ho avuto paura e ho provato vergogna. Poi ho denunciato»

La cantante Claudia Lagona ha raccontato a Vanity Fair la sua esperienza per aiutare chi si è trovata nella sua situazione

Sono passati 10 anni da quando è rimasta invischiata in una relazione tossica, pericolosa. E ce ne sono voluti altrettanti per uscirne, denunciare, perdonare. E parlarne, perché chi ha vissuto il suo stesso incubo trovi la forza di tirarsene fuori e farsi aiutare come ha fatto lei, per quanto sia difficile e faccia paura. A parlare della sua esperienza con Vanity Fair è Claudia Lagona, in arte Levante. «Anche io ci sono passata. Non posso più continuare a dire di sapere che cosa provano certe donne senza confessarlo», ha detto in una lunga intervista, «il tempo, la maturità e anche l’essere diventata madre mi hanno aiutata a elaborare, a non vergognarmi più di chi sono stata. A perdonarmi. E a voler uscire allo scoperto». Così la cantante siciliana, che tra le altre cose ha partecipato al Festival di Sanremo nel 2020 e nel 2023, ha iniziato il suo racconto per sensibilizzare sulla violenza di genere. «Una decina di anni fa mi sono infatuata di un uomo. Da subito è stato molto geloso», ricorda Levante, «in una sorta di meccanismo malato, dovevo giustificarmi con lui. Erano segnali, sia i suoi sia i miei. A ogni modo ho capito abbastanza in fretta che non ero innamorata e gliel’ho detto. Non potendomi più avere ha perso le staffe». L’uomo non si è rassegnato alla realtà e quando la cantautrice ha interrotto la relazione, ha iniziato a ricattarla e tempestarla di messaggi. «Ha tentato di ricattarmi: aveva dei nostri filmati, file privati. Mi chiamava in continuazione, mi ha scritto 980 mail nel giro di un mese, che significa circa 30 ogni giorno», racconta ancora, spiegando che tutti intorno a lei erano preoccupati, «ero spaventata, ma forse non abbastanza, in quel momento. Non pensavo che arrivasse a farmi del male, temevo più per lui».


Il divieto di avvicinamento

Poi un amico avvocato l’ha convinta denunciare, ma non è stato facile: «A un certo punto ho provato soprattutto vergogna, molta vergogna. Mi sentivo stupida: non sapevo come gestire la situazione che proseguiva da un paio di mesi». La freddezza delle autorità, i tentativi di minimizzare, hanno reso il processo ancora più difficile. «Il nostro è un mondo di maschi, che protegge i maschi. Alla fine hanno vietato a quella persona di avvicinarsi a me, per quanto possa valere». Da allora l’uomo è tornato a farsi sentire, ogni tanto. Per chiedere scusa, per farle sapere di aver ricevuto una diagnosi di disturbo bipolare, di aver iniziato un percorso di psicoterapia. «Io non gli rispondo e allora cancella i messaggi. Mi auguro solo che questa intervista non lo spinga a contattarmi», aggiunge, «adesso l’ho perdonato. Ho capito di non averlo incontrato nell’amore, ma nel dolore. Il suo e il mio. Questa persona ha rivelato anche un mio grande problema e cioè l’attaccamento a un certo tipo di uomo: mio padre». Il genitore è morto quando Lagona aveva 9 anni, e per quanto ricordi lei non era violento, ma «era duro, severo, intransigente. Per diverso tempo sono stata affascinata da persone che gli somigliavano». E a chi ancora insinua, accusa una donna che denuncia una violenza dopo tanti anni, replica: «Ha presente quando, con estrema stupidità, qualcuno si domanda: “Ah, perché quella ci ha pensato vent’anni prima di denunciare che è stata stuprata?”. Perché 19 le sono serviti per perdonare sé stessa e l’ultimo per trovare il coraggio».


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