Vasco Brondi ed il suo pop impopolare. Arriva il nuovo album “Un segno di vita”: «Questo possono fare le canzoni: non essere inferno nell’inferno» – L’intervista

L’opera è composta da dieci brani. Ad accompagnare la versione in vinile e il CD un manuale che lui stesso definisce «un’esondazione dell’album»

«Dammi il coraggio di sorridere di un sogno, se non si può esaudire», è questo il verso che chiude Un segno di vita, il nuovo album di Vasco Brondi, disponibile da oggi sul mercato. Un verso non casuale, lo rivelerà anche nell’intervista a Open, che racchiude al meglio il senso, l’estetica, l’anima, di quest’ultimo lavoro di uno dei più raffinati nuovi volti della scena cantautorale italiana. Molti lo hanno visto muovere i primi passi nella musica sotto forma di Luci della Centrale Elettrica, un progetto che ha fatto la storia del movimento indie. La prosecuzione naturale, dopo quattro album e un indiscutibile successo di pubblico e critica, dopo essere diventato un piccolo enorme cult musicale per un’intera generazione, era quella con la propria faccia, nuda e cruda, di prendersi la responsabilità della propria poetica, accantonando qualsiasi altra declinazione o maschera del proprio fare musica.


Ferrarese, classe 1984, un intento, fin dagli esordi, da Canzoni da spiaggia deturpata, 46esimo disco italiano più bello di sempre, secondo Rolling Stones, totalmente intellettuale. Parte tutto sempre dalla musica, ma negli anni si muove agilmente anche tra letteratura e teatro, forte di una capacità, se non unica perlomeno assai rara, di offrire al suo pubblico una riflessione figlia della propria più autentica essenza di artista: profonda, illuminata, visionaria, la poesia come caleidoscopio attraverso la quale guardare alla nostra esistenza, in continuo bilico tra bellezza e conforto. Non è un caso allora che la versione in vinile e CD di Un segno di vita sia accompagnata dal libro Piccolo manuale di pop impopolare, che lui stesso definisce «Un’esondazione dell’album». Tante evidentemente le cose da dire, da esorcizzare, alla fine di questa sua esplorazione, intima ma anche fisica, geografica, tra isole lontane e montagne altissime, al fine di comporre questo nuovo meraviglioso lavoro. Il suo pop impopolare però non deve spaventare, i dieci brani che compongono l’album, confezionati con l’aiuto di alcuni dei più ricercati producer della scena italiana, uno su tutti Federico Dragogna, voce e penna dei Ministri, sono del tutto accoglienti e sono anzi, forse anche più che in passato, carichi di una energica speranza, quella che lui traduce con Open in «Pop maldestro» o, appunto, impopolare, anche dinanzi ai drammi che affrontano di petto.


«Questo possono fare le canzoni: non essere inferno nell’inferno» spiega infatti a Open, citando Italo Calvino. Canzoni che naturalmente hanno bisogno di una propria dimensione, una dimensione che Vasco Brondi ha scelto di ritrovare nei club, in pratica lì dove per lui tutto è partito: 14 date in 12 città tra aprile e maggio, la metà già andate sold out in pochissimo tempo. Questo perché probabilmente il pubblico sente ancora una gran necessità di una musica impegnata, che vada oltre il mero intrattenimento, una visione artigianale più adulta ed affidabile.  

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