Il country secondo Beyoncé. Arriva «Cowboy Carter», l’ultimo album della regina d’America

Ventisette tracce audio, diciannove brani effettivi, tantissime collaborazioni per l’album più lungo di Queen Bey

Country croce e delizia di Beyoncé, l’album Cowboy Carter, l’ultimo della star di Houston classe 1981 da 200 milioni di dischi e 32 Grammy all’attivo, è destinato a fare storia ma anche attualità. Infatti l’intera comunità musicale si è fermata per ascoltare il disco della prima donna nera a conquistare la vetta della classifica Hot Country Songs di Billboard. Una vera e propria certificazione, anche se l’artista ci tiene a specificare: «La mia speranza è che tra qualche anno, la menzione della razza di un artista, relativa ai generi musicali, sia irrilevante». Ventisette tracce audio, diciannove brani effettivi, l’album più lungo di Queen Bey, secondo atto di una trilogia inaugurata due anni fa con Renaissance, in cui però esibiva un sound più retro-disco. Ospiti d’eccezione dietro ogni angolo dell’album, da Willie Nelson a Miley Cyrus, da Post Malone a Linda Martell, che fu la primissima cantante country nera. E poi le cover, quella di Jolenne, colonna portante del country firmata Dolly Parton, e Blackbird, brano dei Beatles reinterpretato assieme a Brittney Spencer, Reyna Roberts, Tanner Adell e Tiera Kennedy, nomi ai più sconosciuti ma molto vicine alla nuova scena country americana.


Come cambia un genere

Chiaro che ogni sound – anche quello più tradizionale, più iconicamente a stelle e strisce, come il country – con il passare delle ere musicali si va, spesso felicemente, a contaminare con nuove sonorità, con l’interpretazione che nuovi artisti ne danno. Proprio per questo Cowboy Carter non può essere definito un disco tipicamente country. All’interno troviamo pop autentico, rap, gospel, R&B, quello che scorre agile nelle vene di Beyoncé, che infatti nelle scorse settimane ci ha tenuto a precisare che «non si tratta di un disco country ma di un disco di Beyoncè». Un album che riprende, questo si, molte caratteristiche del country, con forti accenni alla propria terra, alla lontananza da casa, con quel vivido sentimentalismo della gente del sud degli Stati Uniti. Beyoncé indirizza il country verso il pop così come accadde al blues verso il rock, o al rap verso il pop e al pop verso il rap, in un gioco di contaminazioni entusiasmante anche quando azzardato. Spiega infatti la stessa Queen Bey: «Le critiche che ho affrontato quando mi sono approcciata per la prima volta a questo genere mi hanno costretta a superare i limiti che mi erano stati imposti. Act II è il risultato della sfida che mi sono lanciata, e del tempo che ho dedicato a mescolare i generi per creare questo lavoro». Quello che è certo è che si tratta di un album molto americano, così come preannuncia la copertina, sulla quale Beyoncé sventola e indossa un bandierone a stelle e strisce cavalcando un cavallo banco. Un disco che punta a richiamare la storia musicale, recente e no, di un intero Paese. Come ha dichiarato la stessa Beyoncé le canzoni sono state ispirate da un lavoro di ricerca studiando «il nostro ricco archivio musicale».


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