Il lottatore che racconta un tentativo di corruzione: «Mi hanno offerto 300 mila dollari per perdere»

Frank Cahmizo racconta l’episodio accaduto durante le qualificazioni per le Olimpiadi di Parigi

Frank Chamizo è nato a Matanzas a Cuba. Poi è immigrato a Genova, dove è diventato un lottatore. E oggi racconta a Repubblica un tentativo di corruzione durante il torneo di qualificazione alle Olimpiadi a Baku. Sono ancora sconvolto. Triste, addolorato, pieno di vergogna per quello che è successo», dice. Parte dal verdetto che ha fatto vincere l’atleta di casa Bayramov togliendogli i due punti che lo avrebbero portato a Parigi: «I cinque giudici sul tappeto hanno preso la stessa decisione, riconoscendo che avevo messo a terra il ginocchio destro dell’avversario, quindi avevo vinto».


Right knee down

Poi però è cambiato tutto «dopo un incontro in cui il mio avversario, che ho sempre battuto, per cinque minuti non ha fatto che scappare. Poi si sono inventati un challenge a tempo scaduto, che non si può fare. A questo punto il presidente di tappeto ha guardato le immagini di una sola telecamera della video review e ha stabilito che quella mossa non c’era, contraddicendo gli altri cinque giudici». I telecronisti hanno urlato “right knee down”: «Li conosco, sono amici, capiscono dai particolari quando si imbroglia, dal modo in cui si fermano certe azioni. Hanno urlato così forse perché sanno quel che c’è dietro, è come se avessero voluto dire: “Non lo fate, non lo fate”. Ma alla fine l’hanno fatto, incredibile».


Cosa c’è dietro

Poi racconta il tentativo di corruzione: «Sapevo che dovevo dare il doppio, il triplo in Azerbaigian, perché lottavo a casa loro e avevano comprato tutto. Lo stesso arbitro è stato con gli azeri per tutto il torneo. Io ce l’ho fatta, ma poi è successo qualcosa che ricorda il pugilato di tanti anni fa. E allora sì, lo voglio dire, sono venuti da me offrendomi dei soldi, 300.000 dollari per perdere. Non voglio dire chi, ma è successo la mattina del peso». Dice di averli «mandati aff… perché non rappresento solo me stesso, ma anche l’Italia, la mia federazione, la Fijlkam, e l’Esercito. Non è facile rompere la mia integrità».

Le prove

Infine, dice, non servono prove per dimostrare la corruzione: «Io sono la prova vivente, soffro sulla mia pelle quel che è successo, basta guardare l’incontro. Sono così schifato che non mi sembra di parlare di sport. Ti guardano negli occhi come a dire: “Se non li prendi tu i soldi li prende qualcun altro”. I soldi muovono tutto. Mi esprimono solidarietà dagli Stati Uniti, dove combatto spesso, mi dicono che il responsabile dello scandalo sarà fermato: ma io che me ne faccio?».

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