«Approvato», non «omologato»: la sentenza della Cassazione che squalifica centinaia di autovelox (e fa tremare i Comuni)

Sebbene in alcune circolari i termini siano stati usati in maniera quasi intercambiabile, le due pratiche sono diverse: così la pronuncia può aprire un vaso di Pandora di ricorsi

Approvato non equivale a omologato. Questo è il punto cruciale della sentenza della Corte di Cassazione riguardo una multa per un eccesso di velocità rilevato da un autovelox della tangenziale di Treviso che potrebbe aprire le porte a centinaia di ricorsi dei cittadini sanzionati. Il caso dell’avvocato trevigiano che ha vinto il ricorso in Cassazione presentato dal comune di Treviso, infatti, potrebbe essere analogo moltissimi altri nel Paese. L’uomo era stato multato perché viaggiava a 97 chilometri all’ora su un tratto di strada dove il limite è 90. Ma la rilevazione era stata effettuata da un apparecchio “approvato” ma non “omologato”, così come non lo sono altre migliaia di autovelox sulle strade della Penisola. Il tribunale aveva giudicato la violazione nulla in primo grado e la Cassazione ha confermato che la decisione presa rispetta le norme e i metodi descritti nel codice della strada.


La differenza tra autorizzazione e omologazione degli autovelox

Sebbene in alcune circolari del ministero i termini omologazione e approvazione siano stati usati in maniera quasi intercambiabile e dal 2020 il ministero abbia smesso di omologare i rilevatori, nel codice della strada si riferiscono a due pratiche separate e distinte. L’omologazione, si legge sul codice della strada, comporta che si verifichi che le caratteristiche obbligatorie imposte al macchinario siano rispettate. L’approvazione riguarda invece caratteristiche non specificate nel codice, su cui il ministero esprime il proprio giudizio, spiega il portale specializzato Ricorsi.net. Ma il ministero è stato poco chiaro e i Comuni hanno seguito indicazioni opache, installando autovelox mai testati prima sul rispetto delle caratteristiche obbligatorie. Il rischio è che in seguito alla sentenza migliaia di cittadini vogliano emulare l’avvocato trevigiano, con risultati che potrebbero essere problematici per le casse dei Comuni.


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