«Giorgia Meloni detta Giorgia»: perché il nome della premier nella scheda per le Europee mette FdI a rischio ricorsi

La premier vuole un referendum sul suo governo l’8 e il 9 giugno. Ma l’escamotage per gli esperti è una «frode elettorale». E la candidatura stessa rimane di facciata

Chiamatemi Giorgia. Insieme alla decisione di candidarsi alle elezioni europee la premier Meloni ha chiesto agli elettori di scrivere il suo nome di battesimo sulla scheda. Un’idea che ha avuto di persona, scrivono i retroscena, mentre scriveva il discorso per la convention di Pescara di Fratelli d’Italia. Le è sembrata una scelta perfetta per una campagna che vuole trasformare in referendum sul suo governo. Visto che è convinta (non a torto) di vincerlo. E perché nel frattempo Elly Schlein sul mettere il suo nome nel simbolo del Partito Democratico ha dovuto ripensarci. Anche a causa delle pressioni di chi, nel suo Pd, un’elezione non l’ha mai vinta in vita sua. Ma i giuristi sono convinti che l’escamotage spiegato ieri dal ministro Francesco Lollobrigida potrebbe avere ripercussioni sul voto.


Nel nome di Giorgia

«La maggior parte di cittadini che si rivolge a me continua a chiamarmi semplicemente Giorgia, è una cosa che mi rende fiera, estremamente importante per me. Sarò sempre una persona a cui dare del tu, senza formalismi e senza distanza, perché questo ruolo difficilissimo non mi cambierà, il potere non mi imbriglierà e il palazzo non mi isolerà», ha spiegato lei ieri. Di certo lanciare la battaglia finale nel nome di Giorgia è la mossa che serve ad arrivare a capitalizzare il consenso che la premier ha nel paese. Un po’ come successe a Matteo Salvini alle elezioni del 2019, quando il boom del Carroccio fu generato proprio dal protagonismo del leader della Lega nel governo con il Movimento 5 Stelle. Il cognato della premier e ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ha spiegato che non si rischiano problemi di annullamento della scheda.


Semplificare i concetti

Perché secondo lui scrivere solo il nome di battesimo sulla scheda elettorale è una «possibilità nelle elezioni di ogni tipo di dare all’elettore la scelta se mettere il nome per esteso oppure semplificarlo quando è chiarito in fase di presentazione di candidatura come è sostituibile il nome. Accade in tutte le elezioni. È una possibilità che la norma dà proprio per semplificare il concetto». Ma anche, e questo è l’ovvia conseguenza, per affermare il brand “Giorgia” sopra tutto e tutti. Sopra Salvini, che ieri «ha preferito il ponte» (non quello di Messina, ma le vacanze) all’arrivo a Pescara, collegandosi poi in videoconferenza mentre passeggiava con la figlia per dare l’idea di avere la giustificazione preferita del politico di centrodestra.

Il brand Giorgia

Ma anche sopra Antonio Tajani, che invece è un alleato molto più fedele per la premier, visto che i due hanno l’abitudine di pranzare insieme ogni settimana. E che alle elezioni europee si candida forte della sua popolarità nei sondaggi, seconda solo a quella della premier, e dell’alleanza con Noi Moderati. Con l’obiettivo di superare il 10%, che pare alla portata di mano visti i voti di Maurizio Lupi. E con il sogno di raddoppiarli alle prossime politiche, portandoli al 20%. Ma questo sarebbe possibile soltanto se Fi fagocitasse completamente la Lega. Ovvero lo stesso obiettivo di Meloni. Ed è inutile dire a questo punto e con la palla saldamente in possesso di Palazzo Chigi chi sia il favorito in caso di crollo del Carroccio (e di conseguente commissariamento di Salvini da parte dei colonnelli del Nord).

I pericoli di un escamotage

Ma forse qualcuno ha sottovalutato i pericoli dell’escamotage “Giorgia Meloni detta Giorgia”. È vero, non c’è una norma che vieti la possibilità di farsi chiamare con il nome di battesimo sulla scheda elettorale. Ma il costituzionalista Gaetano Azzariti spiega oggi a Repubblica che qualcosa che non va c’è: «E se c’è un’altra Giorgia (candidata con FdI, ndr) cosa fanno, la eliminano? Vietate tutte le Giorgia dentro il partito? Già questa è una discriminazione e una lesione di un diritto fondamentale». Per Azzariti «siamo di fronte a un’evidente forzatura della legge elettorale che parla chiaro, solo il cognome, nome e cognome, se due cognomi anche uno solo dei due, e se c’è confusione tra omonimi ecco la data di nascita. Ormai gli esponenti di questo governo si ritengono legibus soluti, come dimostra il voto annullato e ripetuto sull’autonomia».

Giacinto Pannella detto Marco

Il costituzionalista poi porta l’esempio di Pannella, il cui vero nome era Giacinto. Lui si candidava come Giacinto Pannella detto Marco, ma qui non c’era nulla da contestare visto che il secondo nome “Marco” (a causa di un errore dell’anagrafe, raccontò lui stesso) non era uguale al primo. In questo caso invece Meloni si chiama già Giorgia. «Per demagogia viene piegata la legge elettorale e la lettera stessa della legge per uno scopo populista», aggiunge. L’avvocato amministrativista Gian Luigi Pellegrino la definisce «una gran furbata». Ma ribadisce anche che «non si può fare, perché il soprannome non può essere lo stesso del nome». Secondo Pellegrino «gli uffici elettorali potrebbero non accettarlo perché non è un soprannome». Ma, aggiunge, «con questo clima non è probabile che lo facciano».

«Frode elettorale»

Il più esplicito è però il costituzionalista di Perugia Mauro Volpi. «È vero che la legge legittima l’uso di uno pseudonimo o di un diminutivo o al limite del solo nome se il cognome è complicato o di difficile scrittura. Ma questo non è il caso di Giorgia Meloni. Nella sostanza c’è una frode agli elettori che deriva dal dire che lei è “una di loro”, il che corrisponde a una concezione populista e plebiscitaria che punta ad anticipare gli effetti del premierato». Anche il professore emerito di diritto amministrativo Franco Gaetano Scoca la definisce «una scelta molto discutibile che potrebbe far sorgere contestazioni». In ultimo, andrebbe ricordato che la candidatura di Meloni, come quella di Schlein e di Tajani, rimane di facciata visto che la premier non occuperà mai il seggio a Bruxelles, tra l’altro non cumulabile. Ma di questo pare non importare niente a nessuno.

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