Aids, dal virus Hiv si può guarire? A che punto siamo e perché il vaccino è ancora un miraggio
Il virus più studiato al mondo, si modifica e si muove in modo velocissimo da cellula a cellula, rendendo a poco a poco il sistema immunitario sempre più debole, fino a potenzialmente distruggerlo. Servivano tre lettere negli anni ’80, HIV, per definire praticamente una condanna a morte. L’infezione del virus non era ancora malattia ma l’impossibilità di evitare la replicazione nelle cellule portava dritto l’organismo allo stato più avanzato, quello dell’Aids. Se non puoi distruggerlo, puoi prevenirlo. Così nei primi anni di studi e ricerca fino a oggi, l’arma più potente è stata quella di evitare il rischio. Proteggere i soggetti più fragili, nelle parti più esposte del mondo è stata la priorità della scienza medica per molti anni. L’arma dei farmaci antiretrovirali ha risparmiato finora milioni di vite, trasformando un killer invincibile in una presenza controllabile. Ma alla luce di contagi che tornano al di fuori dell’Africa subsahariana, una delle zone del mondo in genere più colpite, e di vittime che continuano a registrarsi, la domanda che si fa urgente è se a distanza di 40 lunghi anni di ricerca scientifica, di Hiv si possa arrivare finalmente a guarire.
I numeri
Nella giornata mondiale contro l’Aids, domani 1° dicembre, il rapporto annuale UNAIDS parla chiaro: dei 39,9 milioni di persone che vivono con l’Hiv, 9,3 milioni di persone non stanno ancora accedendo a un trattamento salvavita. Nel 2023, 630mila persone sono morte per malattie legate all’Aids e 1,3 milioni di persone in tutto il mondo hanno recentemente contratto l’Hiv. In almeno 28 Paesi, il numero di nuove infezioni è in aumento. Dati che non possono essere ignorati soprattutto se il protagonista è un virus quasi unico nella sua capacità di modificarsi e sfuggire in maniera velocissima a qualsiasi attacco diretto del sistema immunitario. «I numeri non sono in calo e questo ci inquieta», a parlare da Youndé, la capitale del Camerun, è il professor Carlo Federico Perno. Virologo, direttore di Microbiologia dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma e direttore del comitato scientifico del centro africano di ricerca sull’Aids, Perno fa luce su una delle difficoltà più preoccupanti riscontrate sul campo: «I tempi di diagnosi sono sempre più lunghi, i pazienti registrano infezioni fino a quel momento silenziose ma che hanno sostato nelle cellule anche per dieci anni. Presentando una malattia ormai a stadi molto avanzati». L’allarme viene dato dai bassissimi valori dei linfociti CD4, le cellule del sistema immunitario tipicamente attaccate dall’Hiv. «Sono il termometro della febbre da Hiv», spiega Perno, «trovare valori bassi significa avere davanti persone che non hanno fatto nessun test per anni, nonostante spesso abbiano avuto contezza di aver tenuto comportamenti a rischio».
Di Hiv si può o potrà guarire? A che punto siamo
Sono ancora molto pochi i casi di completa guarigione dal virus. Il 2024 è stato l’anno che ha contato il settimo paziente al mondo guarito da un’infezione di cinque anni. L’uomo aveva ricevuto un trapianto di staminali perché malato di leucemia. Un caso particolare rispetto a quelli precedenti che ha visto i medici ricercatori utilizzare un metodo di trattamento differente dal solito. Il trapianto di staminali è in effetti una possibilità solo per i pazienti che, oltre a convivere con l’Hiv, sviluppano anche alcune forme di leucemia o linfoma che non rispondono a radiazioni o chemio. In questa procedura, le staminali di una persona sana vengono trasferite al paziente, sostituendone il sistema immunitario. Sette casi in totale di guarigione in 40 anni di studi che vanno letti con prudenza. «Si tratta di sette persone in cui il virus non si vede più ma c’è. Si è addormentato ma esiste», spiega Perno, «stiamo parlando di 7 su 40 milioni di attualmente malati. Con un’incidenza tra l’altro sui bambini ancora alta, segnale di una trasmissione verticale molto presente».
Perché è così difficile guarire dall’Hiv? E i vaccini?
Sparare a un piattello in continuo e veloce movimento. È il tentativo che la ricerca scientifica compie da 40 anni nei confronti di un virus dalle capacità rare e complesse da vincere. Maestro del camuffamento, si aggancia alle cellule del sistema immunitario e poi le penetra. A quel punto sgancia la bomba, l’Rna virale, il suo codice genetico. Attraverso un enzima, chiamato trascrittasi inversa, riesce a convertire il suo Rna in Dna: questo andrà a mescolarsi con il Dna della cellula che verrà così ufficialmente infettata e in grado a sua volta di produrre altro Rna virale. Da lì parte il processo di duplicazione di cellula in cellula, con una capacità del virus di modificarsi e adattarsi in così poco tempo tanto da rendere complicatissima la possibilità di centrarlo e abbatterlo. «Questo è il motivo per cui anni di tentativi con vaccini sempre diversi sono risultati fallimentari. Non abbiamo ancora trovato una formula che riesca non tanto a colpire il virus in quel preciso istante ma a prevederne il movimento e quindi anche il possibile mutamento», spiega Perno. «Le difese immunitarie e quindi anche i vaccini che abbiamo provato “sparano” nel luogo del virus che però nel frattempo si muove e cambia, diventando insensibile al vaccino stesso. È una caratteristica fenomenale, propria per esempio, anche dell’epatite C contro cui non abbiamo ancora un vaccino, ma farmaci che comunque ne permettono la guarigione».
I farmaci antiretrovirali gli unici attuali (e preziosissimi) fari nella notte
L’arma più potente contro l’Hiv è quella preventiva. I farmaci antiretrovirali al momento disponibili riescono a tenere sotto controllo il virus, ad addormentarlo, impedendone la replicazione per decenni. Questo ci mette in condizioni di considerare l’infezione da Hiv come una presenza cronica e non più una malattia acuta e invariabilmente mortale. Fondamentale nella somministrazione dei farmaci antiretrovirali è la corretta prescrizione e assunzione della terapia. Una terapia antiretrovirale non costante rende inefficaci i farmaci stessi, depotenziando enormemente per esempio la cosiddetta PrEP, Profilassi Pre-Esposizione: consigliata alle persone Hiv-negative, esposte a comportamenti ad alto rischio di infezione, consiste nella somministrazione giornaliera di farmaci anti-Hiv, riducendone sensibilmente il rischio di diventare sieropositivi. Un principio noto come U=U (Undetectable = Untransmittable): la carica virale così bassa da non essere rilevabile è una carica virale per fortuna non più trasmissibile. L’azione preventiva su persone Hiv negative passa ovviamente anche per un gesto ancora più semplice, quello del test anti virus acquistabile senza prescrizione in qualunque farmacia.
Il Lenacapavir: la nuova frontiera della ricerca ostacolata dalla dogana dei costi
L’ultimo trial di fase III nello studio scientifico del Lenacapavir ha restituito un dato rivoluzionario: il 96% di efficacia preventiva, con la necessità di somministrare il farmaco anti virale a lunga durata d’azione soltanto due volte all’anno, e non giornalmente come avviene con la maggior parte dei farmaci antiretrovirali. Una frontiera della ricerca che più di 30 anni fa sarebbe sembrata un miracolo e che al contrario oggi potrebbe essere lo strumento più efficace dii protezione contro il virus. «È sicuramente un altro faro nella notte, altamente innovativo, diverso da tutti gli altri», spiega il professor Perno. «Notizia molto buona per l’Italia ma anche per l’Africa stessa, per tutte le donne cacciate di casa perché stigmatizzate dall’infezione, per gli adolescenti che non riescono a gestire i loro comportamenti a rischio. Si tratta però di un diamante», avverte il ricercatore. «Durissimo in generale ma fragilissimo in caso di caduta. Se dovesse essere prescritto male o con superficialità darebbe facilmente possibilità al virus di diventare farmaco resistente e quindi rischierebbe di perdere la sua efficacia, così come succede con molti farmaci». Il nodo principale poi è il costo. Attualmente si parla di oltre 42mila dollari per paziente. «Strada al momento inavvicinabile per una profilassi di massa. Siamo però abituati a vedere le grandi aziende che contemporaneamente al budget riservato ai Paesi al nord del mondo, forniscono la ricetta per garantire la possibilità di accesso anche da parte di Paesi in via di sviluppo. Vedremo se accadrà anche per il Lenapavir». In effetti diverse organizzazioni internazionali contro l’Aids e centri di ricerca hanno ufficialmente chiesto alla statunitense Gisead produttrice del farmaco di concedere la licenza per la produzione di un generico dell’antivirale.
#GileadNews: Today, we’re proud to announce that @NEJM has published the full results of our second Phase 3 clinical trial of our investigational medication for #HIV prevention. Read more: https://t.co/X1u5L7rSix pic.twitter.com/G78qJz1orz
— Gilead Sciences (@GileadSciences) November 27, 2024
Un problema di percezione
Non si tratta soltanto dell’epidemia che ha causato più di 70 milioni di contagiati e oltre 35 milioni di morti, che ha cancellato anni di liberazione sessuale e dato vigore alla paura del diverso. La questione coinvolge ancora una giustizia sociale, di diritti umani e disuguaglianze economiche che non può essere ignorata in virtù di una battaglia vinta sì ma solo a metà. «C’è un problema di percezione, in questo momento storico più che mai», spiega Perno. «Pensiamo che se si muore meno rispetto al passato allora il problema non è così grave. Questo errore è rischiosissimo. Le diagnosi di persone infettate anche dieci anni fa significano altrettanti anni in cui quegli stessi pazienti hanno contagiato e infettato involontariamente altre persone. Dobbiamo quindi parlarne di un virus che ancora vuol dire una condanna a vita. Ha perso forza certo ma di Aids si muore ancora e in modo drammatico».