«Io, italiano, tra cinque giorni mi devo laureare ad Harvard ma ho paura di Trump»


Il nome non vuole farlo ma il Quotidiano Nazionale lo chiama Mario. È dottorando ad Harvard. Sei anni fa ha lasciato Milano. E adesso che Donald Trump ha vietato all’ateneo la possibilità di ammettere studenti provenienti dall’estero, si trova in una situazione strana. «Dovrei laurearmi fra cinque giorni: sono il primo a raggiungere questo traguardo nella mia famiglia. I miei parenti dovrebbero arrivare a breve per festeggiare insieme a me, ma ancora non so se mi lasceranno ottenere il titolo di studio», dice a Serena Curci.
Abbandonati in un limbo
«In realtà la scelta di Trump colpisce l’intero ateneo, nessuno escluso. Io ho un visto F1, tipicamente destinato agli studenti, ma sono un dottorando. Questa decisione totalmente inattesa si ripercuote anche sui ricercatori che si apprestano a entrare nel mondo dell’insegnamento o che stanno già tenendo delle lezioni qui», spiega. E aggiunge che la decisione potrebbe rivelarsi un boomerang: «Voglio farti un esempio: buona parte degli studiosi dell’intelligenza artificiale sono giovani immigrati regolari. Così facendo l’amministrazione Trump colpisce un settore in cui gli States sono molto forti. Si stanno facendo un autogol clamoroso».
L’ordinanza sospesa
Nel frattempo l’ordinanza è stata sospesa: «Questa è una scelta temporanea, mi sembra di essere tornato ai tempi del Covid, quando non sapevamo se riprendere l’aereo per tornare in Italia o restare qui – racconta il dottorando -. Poi c’è un altro tema: se io adesso dovessi lasciare gli States per qualche giorno e volessi farvi ritorno, potrei essere respinto alla frontiera senza troppe spiegazioni. Questo è un bel problema: una volta respinto, infatti, non potrei tornare qui per ben cinque anni e questo mi cambierebbe la carriera. La mia vita, ormai, è qui».
E conclude: «Gli Stati Uniti sono cambiati parecchio negli ultimi tempi: prima c’era davvero molta più libertà di pensiero. La nuova amministrazione è molto diversa da quella del 2017: ora si cerca di silenziare il dissenso. Le università devono continuare a lottare per essere dalla parte giusta della Storia».