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Ungheria, 17 Stati Ue contro la messa al bando del Pride: l’Italia non firma. Il governo Orbán: «Oggi spiegheremo»

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In una dichiarazione congiunta in occasione del Consiglio Ue sul tema, i firmatari esortano le autorità di Budapest a rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali

Diciassette Stati membri dell’Unione europea hanno espresso «profonda preoccupazione» per la recente decisione dell’Ungheria di Viktor Orbán di vietare a livello costituzionale la marcia del Pride, chiedendo al governo di Budapest di ritirare le misure adottate. In una dichiarazione congiunta diffusa in occasione del Consiglio Affari Generali Ue, dove oggi si tiene una nuova audizione sullo stato di diritto in Ungheria, i firmatari esortano le autorità di Budapest a rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali, in linea con gli impegni internazionali assunti. «Siamo profondamente preoccupati per le recenti modifiche legislative e costituzionali che ledono i diritti fondamentali delle persone Lgbt+, adottate dal Parlamento ungherese il 18 marzo e il 14 aprile 2025, a seguito di altre normative già introdotte negli anni precedenti», si legge nella nota. 

I Paesi firmatari: chi c’è e chi no

Il documento, promosso dai Paesi Bassi, è stato sottoscritto da Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia, Spagna e Svezia. Nell’elenco non compare l’Italia, che ha deciso di non firmare insieme a Romania, Bulgaria, Slovacchia, Grecia, Cipro, Croazia, Malta. «Grave e incomprensibile l’assenza dell’Italia tra i firmatari: difendere diritti e libertà non è un optional, è il cuore del progetto europeo», commenta Sandro Gozi, eurodeputato di Renew Europe e segretario generale del Partito democratico europeo. Il mese scorso, il parlamento di Budapest ha approvato il controverso emendamento promosso da Fidesz, il partito di Orbán, che mira a codificare a livello costituzionale il recente divieto imposto dal governo sugli eventi del Pride.

I piani del governo Orbán e la preoccupazione Ue

La modifica – che viene giustificata dall’esecutivo con la necessità di proteggere i bambini dalla «propaganda sessuale» – apre, inoltre, la strada all’uso di software di riconoscimento facciale da parte delle forze dell’ordine per identificare i partecipanti e multarli. Pratica vietata, con alcuni stringenti eccezioni, dal diritto europeo. «Questi sviluppi ci allarmano profondamente – si legge nel comunicato – in quanto contrastano con i valori fondamentali su cui si fonda l’Unione, tra cui la dignità umana, la libertà, l’uguaglianza e il rispetto dei diritti umani». I Paesi firmatari ribadiscono infine che la tutela delle persone Lgtb+ è parte integrante dell’identità europea e rappresenta una responsabilità condivisa da tutti gli Stati membri e dalle istituzioni dell’Unione europea.

Budapest «pronta a spiegare», Von der Leyen tende l’orecchio

Budapest si dice nel frattempo disponibile a fornire chiarimenti nel corso dell’audizione sullo Stato di diritto prevista oggi, martedì 27 maggio, a Bruxelles. «Spero che, al termine di questo confronto, i miei colleghi possano maturare una visione più equilibrata della normativa ungherese», ha dichiarato il ministro ungherese per gli Affari Europei, János Bóka. Il ministro ha inoltre respinto le accuse di divieto del Pride, affermando che «in Ungheria non esiste alcun bando» nei confronti delle manifestazioni arcobaleno». Nel frattempo, secondo quanto riportato da Marco Bresolin su La Stampa, il gabinetto della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, avrebbe raccomandato ai commissari di non prendere parte al Budapest Pride, per evitare tensioni con l’esecutivo di Orbán. La Commissione non ha confermato né smentito ufficialmente l’indiscrezione.

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