L’auto di Andrea Giambruno sotto casa di Giorgia Meloni «è stata controllata dai servizi segreti»


Il blitz sotto casa di Giorgia Meloni per l’auto di Andrea Giambruno «è riconducibile ad attività dei servizi segreti interni». A scriverlo è la procura di Roma negli atti di indagine sull’episodio che risale alla notte tra il 30 novembre e il primo dicembre 2023. E di cui si è saputo soltanto alla fine di aprile 2024. All’epoca il giornalista e conduttore Mediaset era stato già “congedato” dalla premier dopo i fuorionda di Striscia la notizia. Le carte dell’inchiesta raccontano di sotterfugi, sospetti e insabbiamenti. Protagonista è la Porsche di Giambruno, parcheggiata sotto casa della premier in zona Eur-Torrino. Il giornalista si trovava a casa della ex compagna per vedere sua figlia Ginevra, 7 anni. Davanti all’abitazione c’erano i poliziotti della scorta della premier.
La Porsche e la Mercedes
Verso le 4 del mattino una Mercedes Benz Ml di colore nero si ferma dopo aver transitato due volte nella via. L’auto ha i vetri oscurati. Scende un uomo, che prima si avvicina a un camioncino bianco usato per recapitare la posta destinata alla premier. Poi si mette a trafficare vicino all’auto di Giambruno con un aggeggio che sembra un metal detector. A quel punto una poliziotta della scorta interviene chiedendo spiegazioni. Dall’auto scende un altro uomo, insieme mostrano un tesserino e se ne vanno. In base al successivo identikit presente nella relazione della poliziotta i due vengono identificati come uomini dei servizi. Ma il sottosegretario Alfredo Mantovano smentisce al Copasir che alla base del fatto ci sia un’attività dei servizi segreti. Intanto un ricettatore e un suo amico si presentano davanti agli investigatori per attribuirsi la colpa di tutto.
I nomi dei due agenti
Ed è La Stampa a rivelare oggi che la procura ha identificato i due come uomini dei servizi. Il quotidiano ha visto anche le foto dei due e conoscere i nomi, che però per ragioni di sicurezza non vengono svelati. Quello che guida la Mercedes ha una cinquantina di anni, ha pochi capelli, occhi neri e «sguardo penetrante». L’altro, sulla quarantina, è slanciato e ha i capelli corti. Indossa una tuta da ginnastica. Già all’epoca della testimonianza della poliziotta c’è chi li riconosce: «Sono dei servizi segreti interni». E poi recupera anche le loro foto in archivio: «Eccoli, sono loro». Quel poliziotto, racconta chi è vicino all’indagine, verrà presto trasferito ad altro incarico «senza motivazione alcuna». I due uomini invece finiscono dall’Aisi all’Aise (ovvero i servizi esteri). Uno finisce in Iraq, l’altro in Tunisia.
L’ipotesi del tentato furto
All’epoca dell’indagine l’ipotesi del tentato furto finisce da subito accantonata. Agli atti intanto c’è anche una lettera dell’Aisi che identifica i due. Gli investigatori scoprono anche che la Mercedes è intestata all’Erario dello Stato, come tutte le vetture di servizio della polizia. E bisognerà anche capire quale legame ci sia tra i fatti e quanto accaduto appena 24 ore prima, ovvero il 29 novembre 2023. Quel giorno due uomini tentano di forzare la porta di un appartamento all’Eur che si trova proprio sopra quello della premier. Nell’alloggio c’è una donna che osserva dallo spioncino. «Erano in due. E uno aveva una specie di microfono sulla giacca. Parlava con il complice». Quando lei chiama i soccorsi i due scappano. Intanto l’indagine viene tolta alla Digos e assegnata alla Squadra mobile di Roma.
Il ricettatore
Poco dopo entra in scena il ricettatore. Si presenta alla polizia e dice che c’era lui in quell’auto con un amico. Durante l’interrogatorio usa anche il cellulare. Ma gli investigatori non lo ritengono credibile. Il fascicolo resta aperto, anche se ormai va verso l’archiviazione. Due mesi fa il Dipartimento di Pubblica Sicurezza ordina di trovare il secondo uomo. Alla squadra mobile chiedono di trasferire l’intero fascicolo a un prefetto con parenti stretti proprio nei servizi. A quel punto La Stampa pubblica la notizia. E arriva il dietrofront. La ricerca finisce sospesa.