Roma, donna muore dopo una liposuzione in uno studio privato. Il medico aveva precedenti e operava senza autorizzazione da 13 anni


Operava senza autorizzazione da tredici anni e aveva qualche precedente per lesioni José Lizarraga Picciotti, il medico peruviano titolare dello studio romano, nel quartiere di Torrevecchia, in cui Ana Sergia Alcivar Chenche è stata colta da un malore poi rivelatosi fatale. Il 65enne è indagato per omicidio colposo, insieme a un anestesista e un’infermiera, per la morte della 47enne che ha perso la vita in seguito a un intervento di chirurgia estetica, nel pomeriggio di domenica 8 giugno. La donna, originaria dell’Ecuador, si stava sottoponendo a un intervento di liposuzione nello studio privato di Picciotti. Il decesso, avvenuto a seguito del trasporto d’urgenza al Policlinico Umberto I, è stato accertato alle 20.
Lo studio senza autorizzazione e i precedenti per lesioni
Erano tredici anni che lo studio di Picciotti, a Roma, non si dotava della specifica autorizzazione per compiere interventi di chirurgia estetica. Secondo quanto scrive Ansa, l’ultima autorizzazione valida – della durata standard di 5 anni – copriva dal 2007 al 2012. Non solo. Già per due volte, nel 2006 e nel 2018, José Lizarraga Picciotti era stato denunciato da pazienti che si erano sottoposte a un intervento di chirurgia estetica e, in un caso, proprio alla liposuzione. Anche l’anestesista avrebbe qualche precedente, ma non legato alla sua attività sanitaria.
L’intervento andato male e il malore
Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, la 47enne si era sottoposta nel pomeriggio di domenica alla liposuzione ma l’intervento è stato interrotto a causa di una sopraggiunta complicazione. A quel punto Picciotti (che in passato ha operato anche a Milano), l’anestesista e l’infermiera, avrebbero provato in un primo tempo a praticare le manovre di rianimazione senza chiamare i soccorsi e solo successivamente, dopo qualche ora, avrebbero contattato un’autoambulanza privata con un medico a bordo. Non risulterebbero, al momento, chiamate con richieste di intervento al 118. All’arrivo in ospedale, i medici hanno tentato inutilmente di rianimare la donna.
L’arrivo in ospedale in arresto cardiaco
La donna, stando a quanto si apprende, si sarebbe presentata in ospedale per una perdita di coscienza associata a un’ipotensione marcata e un quadro generale di shock da ricondurre a molteplici cause. Al suo arrivo al Policlinico Umberto I, fa sapere l’Ansa, la 47enne era già in arresto cardiocircolatorio e intubata. Sull’ambulanza che l’ha trasportata in ospedale, un’anestesista le ha praticato un massaggio cardiaco.
Indagati il chirurgo, l’anestesista e l’infermiera
Sull’accaduto indaga la polizia, mentre la Procura ha iscritto nel registro degli indagati, con l’ipotesi di omicidio colposo, il chirurgo – che sui social prometteva «il miglior prezzo del mercato italiano senza abbassare la qualità/sicurezza in ciascun intervento» -, l’anestesista e l’infermiera. L’ambulatorio è stato sequestrato e sono diversi i punti da chiarire, dalla dinamica dell’intervento al coinvolgimento dei soccorsi. Andrà chiarito cosa ha provocato il malore che poi si è rivelato fatale per la 47enne e perché, come risulterebbe dai primi accertamenti, dallo studio non avrebbero chiamato con immediatezza il 118.
Gli altri decessi a Roma dopo interventi di chirurgia estetica
Nella Capitale non è certo questo il primo caso di decessi in seguito a interventi estetici. A novembre il caso di Margaret Spada, la 22enne di origini siciliane morta dopo una rinoplastica eseguita dai chirurghi Marco e Marco Antonio Procopio, indagati, nel loro studio all’Eur. E poi la vicenda di Simonetta Kalfus, 62enne di Ardea, morta in seguito a una grave sepsi dopo la liposuzione in uno studio privato.
L’allarme dei medici
«La medicina estetica va messa in sicurezza. Quanto accaduto a Roma segue altri episodi simili negli ultimi mesi. Avevamo già chiesto un intervento di carattere legislativo che limiti l’attività chirurgica-estetica solo a chi ha titoli e competenze». Così Filippo Anelli, presidente della Fnomceo (Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri), interviene su quanto accaduto. «I cittadini devono sapere che chi ci mette le “mani addosso” è formato per farlo al meglio – continua Anelli -. Quindi si devono definire i percorsi formativi che portano a sviluppare le competenze e avere elenchi da custodire negli Ordini sulla base di questi percorsi. Le società scientifiche di riferimento si stanno muovendo e abbiamo avviato degli incontri, noi daremo il nostro contributo».