«Siamo tutte madri stanche di seppellire i nostri figli»: il coraggio delle donne palestinesi e israeliane unite per la pace – L’intervista


«Le donne palestinesi e israeliane condividono un legame profondo e sacro: il desiderio di proteggere la vita. Sappiamo guardarci oltre i muri e i confini, riconoscendoci l’un l’altra. Non vogliamo vendetta, vogliamo vita. Questo ci rende pericolose per chi trae profitto dalla divisione, e potenti nella nostra unità». A parlare è Marie Claire, attivista di Women of the Sun, un’associazione palestinese fondata nel 2021 a Betlemme da Reem Hajajreh, che promuove la pace e la partecipazione delle donne nei processi decisionali. Composta da migliaia di attiviste palestinesi, l’organizzazione opera nella Striscia – dove molte di loro sono state uccise dai raid israeliani – ma anche in Cisgiordania e a Gerusalemme est. «In questi tempi di dolore profondo e polarizzazione, il nostro lavoro comune non è facile – è emotivo, crudo e spesso controverso. Ma lo riteniamo necessario. Perché se non sono tutte le donne e le madri a unirsi per chiedere la pace a Gaza, allora chi lo farà?», spiega a Open. La possibilità di un dialogo nasce dal «riconoscimento» di una sofferenza condivisa: «Ci rifiutano di lasciare che sia la guerra a scrivere il futuro dei nostri popoli. Non abbiamo nulla da guadagnare dall’odio, e tutto da perdere dal conflitto», ci dicono le attiviste.
«Piangiamo, urliamo, e a volte sembra che l’oscurità non abbia fine»
Un appello, potente e complesso, che si alza nel bel mezzo di una catastrofe umanitaria senza precedenti, aggravata dal blocco degli aiuti imposto dal premier Netanyahu, dai continui raid dell’Idf e dai ripetuti ordini di evacuazione impartiti da Israele, che nel frattempo ha aperto un nuovo fronte in Iran. «La situazione è insopportabile, Gaza sanguina – ci spiegano -: i bambini muoiono in silenzio, le famiglie affrontano la fame e la paura. Ma anche la situazione in Cisgiordania è difficile: la paura ci accompagna a ogni passo: ai checkpoint, nelle nostre case, mentre portiamo i figli a scuola. Ma nonostante tutto, ci aggrappiamo alla speranza anche se portiamo un dolore insopportabile – proseguono -. Piangiamo, urliamo, e a volte sembra che l’oscurità non abbia fine. Ma non possiamo lasciare che l’odio diventi la nostra eredità. Se trasmettiamo odio, trasmettiamo la guerra».

La collaborazione con le donne israeliane
L’organizzazione palestinese Women of the Sun è gemellata con Women Wage Peace, il movimento pacifista di israeliane fondato subito dopo l’operazione dello Stato ebraico a Gaza del 2014 da Yael Admi e Vivian Silver, attivista israelo-canadese assassina da Hamas il 7 ottobre 2023, insieme ad altre 277 donne. Appena tre giorni prima dell’attacco del gruppo armato, le due associazioni avevano partecipato insieme a una marcia per la pace. Quella tragedia ha messo a dura prova la loro alleanza, che tuttavia è riuscita a resistere. Nonostante i contesti diversi da cui provengono, entrambe – oggi candidate al Nobel per la Pace – condividono lo stesso obiettivo: raggiungere un accordo politico equo e bilaterale per porre fine al conflitto. È questa visione condivisa, unita alla profonda convinzione che le donne possano essere agenti di un cambiamento duraturo nelle rispettive società, ad aver unito le attiviste palestinesi e israeliane nel cammino verso la pace. «Siamo madri stanche di seppellire i nostri figli», affermano. «Con l’Appello delle Madri chiediamo insieme una soluzione politica e la fine della violenza da entrambe le parti». Anche perché a pagare il prezzo più alto della guerra sono soprattutto i civili. «Gli uomini cominciano le guerre, ma a rimetterci sono donne e bambini», ci dice Marie. «Sono i nostri figli a essere estratti dalle macerie, le nostre figlie a smettere di sognare – continua l’attivista palestinese -. Sono le donne a seppellire i mariti, i bambini e a volte i propri neonati, e poi a dover andare avanti come se la vita avesse ancora un senso. Portiamo il dolore nei nostri grembi, tra le braccia, nei cuori. Paghiamo il prezzo più alto e riceviamo la minore attenzione. Deve finire».

I dati
Secondo le stime di UN Women, da ottobre 2023 più di 28mila donne e ragazze sono state uccise sulla Striscia. In media, ogni ora una donna o una ragazza ha perso la vita sotto i bombardamenti israeliani. Tra le vittime, migliaia erano madri, lasciando dietro di sé figli, famiglie e intere comunità spezzate. Ma sulla Striscia è anche in atto una strage di bambini, denuncia Save The Children. Gli attacchi delle Forze di difesa israeliane ne hanno uccisi quasi 20mila, e un milione rischia fame e malattie. «I nostri figli sono feriti, ma sono anche resilienti. A Gaza e in Cisgiordania disegnano simboli di pace sui muri, scrivono poesie, continuano a giocare quando le bombe si fermano. Il loro futuro dipende da noi, da ciò che scegliamo di costruire o distruggere. Evitiamo di essere schiacciati piantando speranza, anche nel terreno della disperazione. Continuiamo a esserci, continuiamo a parlare, continuiamo ad amare. Perché l’alternativa è perderci. E ci rifiutiamo di permetterlo».

«La comunità internazionale deve smettere di guardare in silenzio»
Per le donne palestinesi, la condanna della comunità internazionale per quanto sta accadendo a Gaza «non basta», ribadiscono con forza le attiviste, che chiedono al mondo di non limitarsi a «osservare in silenzio». «Servono azioni urgenti, coraggiose, morali. Fermare il blocco degli aiuti, proteggere i civili, fare pressione sui leader perché tornino al tavolo dei negoziati», affermano. Ed è inoltre necessario «dare spazio alle voci delle donne, delle costruttrici di pace, non dei signori della guerra. Siamo stanche che il mondo conti i nostri morti e ignori le nostre grida. Se davvero volete aiutarci, ascoltateci. Schieratevi con chi vuole la pace, non con chi cerca solo potere». La pace non è «una speranza», ma una «necessità e urgenza». Che sarà possibile, ma non senza verità e giustizia. «La pace non arriverà con altre bombe o filo spinato. Arriverà quando riconosceremo l’umanità dell’altro. Quando permetteremo alle madri di entrambi i popoli di crescere i propri figli senza paura. È possibile – concludono -, perché deve esserlo. Non abbiamo altra scelta».
Foto copertina: ANSA / MOHAMMED SABER | Una donna palestinese sfollata aspetta di ricevere una porzione di cibo nel campo profughi di Jabalia, nel nord della Striscia di Gaza, 09 maggio 2025