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Il 5% del Pil in spese militari? Anche no. La Spagna si ribella a Trump e inguaia la Nato: «Irrazionale e incompatibile col welfare»

19 Giugno 2025 - 18:28 Simone Disegni
Donald Trump Pedro Sanchez Usa Spagna
Donald Trump Pedro Sanchez Usa Spagna
A pochi giorni dal vertice dell'Aja Pedro Sánchez scrive a Mark Rutte e si chiama fuori dall'impegno richiesto agli Alleati. E l'Italia di Meloni osserva interessata

Investire il 5% del Pil in spese per la difesa? Anche no. A pochi giorni dall’apertura del vertice dei capi di Stato e di governo della Nato, il primo dal ritorno al potere di Donald Trump, esce allo scoperto un Paese contrario a sottostare ai desiderata dell’Amministrazione Usa. È la Spagna di Pedro Sánchez. Per Madrid, «impegnarsi all’obiettivo del 5% sarebbe non soltanto irrazionale, ma perfino controproducente» rispetto al rafforzamento della difesa europea e in ogni caso «incompatibile col nostro sistema di welfare e con la nostra visione del mondo», ha scritto il premier spagnolo in una lettera al Segretario generale della Nato Mark Rutte, svelata oggi da El Paìs. Il nuovo target di spesa in difesa, che dovrebbe rimpiazzare il 2% del Pil sottoscritto dai leader nel 2014, è stato proposto formalmente agli Stati membri da Rutte in una lettera inviata la scorsa settimana, recependo l’auspicio di Trump, che freme per sgravare gli Usa dal «fardello» di difendere il continente europeo. L’obiettivo ipotizzato è in realtà composito: il 3,5% del Pil dovrebbe essere investito in spese di ordine strettamente militare, un ulteriore 1,5% in investimenti complementari, come sulla protezione delle infrastrutture critiche, lo sviluppo dell’industria militare ma anche della difesa civile. E negli ultimi giorni in sede Nato si era aperto pure a una dilazione nel tempo dell’impegno. Ma ora la «ribellione» della Spagna rischia di far saltare il banco.

Rutte Sanchez Nato Spagna
EPA/MALTON DIBRA | Il premier spagnolo Pedro Sanchez col Segretario generale delal Nato Mark Rutte al vertice della Comunità politica europea – Tirana, 16 maggio 2025.

I malumori sul 5% e il ruolo dell’Italia

Per Paesi come l’Italia, che solo quest’anno e con grande fatica raggiungeranno l’obiettivo precedente, quello del 2%, il più che raddoppio degli investimenti appare come un miraggio. Nei giorni scorsi l’Osservatorio Milex sulle spese militari ha stimato in circa 100 miliardi le risorse aggiuntive che l’Italia dovrebbe liberare per centrare «l’obiettivo Trump». Anche per questo da settimane i ministri Tajani e Crosetto avevano chiarito e spiegato privatamente e poi pubblicamente la posizione dell’Italia: ok (di malavoglia) al 5% del Pil, ma a patto che la deadline venga fissata tra dieci anni, al 2035. La Nato – sostenuta da Polonia e Paesi baltici – all’inizio spingeva per realizzare il target entro il 2030, poi ha accettato di spostare l’asticella al 2032. Ora, a pochi giorni dall’apertura del summit dell’Aja, sembra che la linea dell’Italia, sostenuta pure dal Regno Unito, stia prevalendo. Londra, oltre alla deadline nel 2035, ha proposto che nel 2029 si tenga una revisione del percorso di aumento delle spese. Data non casuale: a meno di rivoluzioni costituzionali negli Usa, per quell’epoca Trump dovrebbe essere un anziano pensionato della Casa Bianca.

Ansa/Palazzo Chigi/Filippo Attili | La presidente del Consiglio Giorgia Meloni con il ministro della Difesa, Guido Crosetto al vertice Nato di Vilnius, 12 luglio 2023

Sánchez chiede l’esenzione e inguaia la Nato

L’Italia tra l’altro ha anche chiesto che venga eliminato dalle conclusioni del vertice dell’Aja l’impegno ad aumentare regolarmente il bilancio della difesa dello 0,2% del Pil all’anno. Mani libere, insomma, sul come, quando e quanto. L’impressione è che l’esplicita «ribellione» della Spagna – praticamente l’unico Paese di peso in ambito europeo rimasto governato dal centrosinistra – non dispiaccia affatto insomma ad altri Paesi pur politicamente più vicini agli Usa di Trump, a partire dall’Italia di Giorgia Meloni. Nella lettera a Rutte, Sánchez dice di non voler porre alcun veto, di non voler cioè certo impedire agli altri Paesi che lo vogliano di raggiungere l’obiettivo del 5% in difesa. Chiede però che la Spagna sia esentata da quell’impegno, o tramite una clausola di opt out ad hoc o semplicemente rendendolo facoltativo anziché obbligatorio. In entrambi i casi, un bel grattacapo per i vertici della Nato che già pensavano di aver in tasca l’accordo politico sulle conclusioni del summit e che ora invece rischiano di vedersi aprire un vaso di Pandora di distinguo. Ora il primo vertice dell’era Rutte, come nota Reuters, rischia insomma di deragliare. Proprio nei giorni in cui i leader europei saranno chiamati a tentare di scoraggiare Donald Trump dall’usarle, le proprie risorse militari, per attaccare l’Iran. Sempre che di qui al 24 giugno, quando dovrebbe aprirsi il vertice dell’Aja, il dado non sia già stato tratto.

In copertina: EPA/HORST WAGNER | Una (rara) foto di Donald Trump e Pedro Sanchez a colloquio, a margine di un precedente vertice Nato – Bruxelles, 11 luglio 2018

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