Nessuno studio dimostra che la graviola è meglio della chemioterapia


Diverse condivisioni Facebook riportano l’anteprima di un video (che abbiamo poi recuperato nella versione integrale) dove si sostiene che diversi studi dimostrerebbero come la graviola curerebbe il cancro. Questo frutto tropicale apprezzato da diversi amanti delle medicine alternative sarebbe addirittura 10mila volte più efficace della chemioterapia. Vediamo perché tutto questo non ha alcun senso.
Per chi ha fretta:
- Un filmato promuove la graviola come cura contro il cancro «10mila volte più efficace della chemioterapia».
- Se si presta attenzione il filmato è un autogol, perché oltre a citare solo studi in vitro elenca anche eventi avversi molto gravi.
- Medici e ricercatori devono rispondere degli eventuali danni fatti ai pazienti, chi monta i video no.
Analisi
Le condivisioni in oggetto riportano la clip di anteprima del filmato originale sulla graviola, con la seguente didascalia:
CLAMOROSO! CANCRO,
studi scientifici: frutto
tropicale 10.000 volte più
potente della
chemioterapia!!!

Cosa sappiamo davvero dei presunti poteri curativi della graviola
Secondo la voce narrante del video integrale, le proprietà anticancro della graviola si troverebbero «nella corteccia, nelle foglie, nelle radici, nei semi e nei ramoscelli». Qui si troverebbe il principio attivo che ci interessa, rappresentato dalle «acetogenine annonacee», che sarebbero associate a «sorprendenti effetti antitumorali e antivirali». Tutto questo però secondo la voce narrante sarebbe stato visto solo in vitro:
«In vitro le acetogenine estratte dalla graviola hanno dimostrato importanti effetti come dicevamo citotossici contro cellule cancerose del fegato, del seno, della prostata, del pancreas, del polmone e del colon. Purtroppo non esistono a tutt’oggi studi su larga scala che confermino le proprietà antitumorali della graviola sulla specie umana. Big Pharma non ha alcun interesse a finanziare ricerche che porrebbero fine alla lucrosissima chemioterapia».
Quindi si sta parlando di “evidenze” provenienti da colture cellulari, che non possono rappresentare quel che accade in un organismo complesso. Si dovrebbe andare agli step successivi, che dalla sperimentazione animale portano (in caso di successo) alle tre fasi della sperimentazione clinica.
Ma secondo la narrazione questo non accadrebbe perché le case farmaceutiche non avrebbero alcun interesse a finanziare la ricerca di un farmaco che funziona così bene. L’autore non spiega però come mai «Big Pharma» finanzia invece i vaccini e le nuove terapie anticancro basate sull’mRNA, che invece costano molto meno del tenere i pazienti in terapia farmacologia il più a lungo possibile.
A seguito di quella che si suppone essere stata una ricerca sul motore di ricerca di PubMed (un database internazionale di studi biomedici), l’autore suggerisce due studi, a cui è possibile risalire dagli screen mostrati nel filmato. Potete recuperarli qui e qui.
Come anticipato dalla voce narrante, si tratta di esperimenti in vitro. Non ci resta che porci un’ultima domanda: è vero che non si è andati avanti negli studi? E quali sarebbero le ragioni per cui non si è arrivati a studi clinici più avanzati? Ci viene in aiuto una analisi degli esperti di Agenzia Zoe per AIRC. Ovviamente il testo presenta diverse fonti dove poter approfondire e sottoporre a verifica quanto riportato.
L’argomento “fantoccio” per sostenere la tesi
Scopriamo quindi che la narrazione in oggetto usa uno strawman argument, un argomento fantoccio. Si presume che nonostante si conoscano le proprietà di alcune sostanze presenti nella graviola, non si sia proseguito negli studi, dietro pressioni non meglio motivate delle case farmaceutiche. Non è così.
«Le presunte virtù curative della graviola – riporta AIRC -, una pianta che cresce nella foresta pluviale tropicale, sono ancora oggetto di dibattito quando si parla di oncologia. Sono tuttavia ancora estremamente rari gli studi clinici in esseri umani con cui si è finora cercato di verificare in modo rigoroso e sistematico i presunti effetti anticancro degli estratti della graviola».
«Gli ingredienti attivi della graviola, le acetogenine annonacee, hanno mostrato la capacità di uccidere cellule tumorali in esperimenti preliminari, in laboratorio, ma possono anche causare danni significativi al sistema nervoso, provocando sintomi simili a quelli del morbo di Parkinson».
A onor del vero la voce narrante del video in oggetto elenca degli stessi eventi avversi. Ed è ugualmente un passaggio contraddittorio, perché per avere questo genere di informazioni bisogna che la cosiddetta “Big Pharma” qualche studio lo abbia portato avanti. Per altro gli autori del filmato elencando i gravi eventi avversi, stanno anche implicitamente svelando le vere ragioni per cui studi più rigorosi sulle persone non se ne trovano. Ed è emblematico quanto riporta la stessa AIRC nella conclusione della sua analisi (il grassetto è nostro):
«Prima di affidare a queste sostanze le proprie speranze di guarigione occorre sapere che solo le cure sottoposte al vaglio di una rigorosa sperimentazione scientifica offrono sufficienti garanzie di efficacia e sicurezza. E che quando tali studi non vengono effettuati ci sono importanti ragioni di tossicità che li impediscono».

Conclusioni
Come gli stessi autori del video condiviso hanno inconsapevolmente lasciato trapelare, non è ancora possibile affidare i pazienti oncologici a trattamenti basati sui principi attivi della graviola, che evidentemente risulta ben più pericolosa delle cure autorizzate, al netto dei presunti benefici. Al momento definire tale alimento o qualche suo componente «10mila volte più efficace della chemioterapia» è molto pericoloso, perché rischia di allontanare i pazienti dalle cure di cui esiste già una comprovata efficacia, i cui potenziali eventi avversi sono noti e sotto controllo.
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